L’Italia affezionata agli annunci e agli ultimatum resta in attesa delle evoluzioni delle prossime ore, che – stando alle previsioni dei beninformati – dovrebbero essere decisive per il futuro del governo e del Paese.
Il braccio di ferro (più o meno velato) tra Enrico Letta e Matteo Renzi potrebbe presto decretare un vincitore e orientare, di conseguenze, i “collocamenti” di tutte le forze politiche nello scacchiere nazionale. Il momento non è facile per il presidente del Consiglio: il governo delle larghe intese vive uno dei suoi momenti di maggiore sofferenza e le “quotazioni” di molti ministri continuano a precipitare.
Immobilismo e scarso coraggio sono le accuse che, con maggiore frequenza, vengono recapitate a Letta in persona, che deve ancora mettere a punto quel dossier, “Impegno 2014″, che aveva sognato di presentare al summit europeo dello scorso 29 gennaio. Il premier ci starebbe lavorando giorno e notte (compatibilmente con le trasferte internazionali che lo hanno portato prima negli Emirati Arabi e poi in Russia), intenzionato com’è a mostrare al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano (che potrebbe incontrare già domani) risultati concreti e convincenti.
E Matteo Renzi? Le richieste di subentrare a Enrico Letta alla guida del Paese si fanno sempre più insistenti, ma il segretario del Pd sembra non essere interessato. “Sono tantissimi i nostri che dicono: ma chi ce lo fare di andare al governo senza votare? Io sono tra questi”, ha dichiarato ieri il sindaco di Firenze. Il campione delle primarie vorrebbe, infatti, evitare di replicare l’errore commesso dai compagni di partito nel ’98, quando Massimo D’Alema subentrò a Romano Prodi alla guida del governo. L’idea della “staffetta” lo inquieta e per questo – si dice – cercherà in ogni modo di scansarla, a meno che dal Colle (che fin qui ha palesemente tifato per Enrico Letta) non dovesse trapelare una chiara disponibilità a favorire un “ricambio” governativo.
Dal canto suo, il segretario del Pd ha prospettato tre diverse soluzioni: la prima prevede la continuazione dell’azione di governo in carica fino alla scadenza programmata dei 18 mesi (ne resterebbero altri 8); la seconda porta dritti alle elezioni (con una legge elettorale ancora da definire); e la terza propone, invece, un governo di legislatura fino al 2018. Un’opzione quest’ultima che, ha precisato il fiorentino, implicherebbe però cambiamenti forti sul fronte delle riforme. E aggiungiamo noi: un pressoché inevitabile “cambio della guardia” a Palazzo Chigi.