Venezuela: abbiamo creduto in Chávez ma era tutto un inganno

ChavezUn’amica mi ha chiesto : quali sono i motivi per cui un chavista cambia idea?

Negli anni Ottanta ero uno studente della UCV, una delle Università che adesso sono prese di mira dal governo di Maduro. C’era fermento anche allora, non eravamo soddisfatti dello stato in cui era il Venezuela, avevamo i nostri ideali, anche alimentati dai nostri docenti, alcuni dei quali italiani. La classe sociale era fatta da poveri e da ricchi, mancava completamente una classe media. La corruzione non mancava, la delinquenza cominciava a farsi sentire e ci pareva giusto il pensiero che arrivasse qualcosa a tutti e non sempre e soltanto agli stessi. La classe politica, come sempre, stava molto bene, i ricchi che abitavano nelle zone di lusso di Caracas e delle altre città venezuelane non avevano problemi, ma quelli che si trovavano nelle zone povere (molte) certo non conducevano una vita bellissima. C’innamorammo un po’ dei racconti dei nostri docenti e pensammo che il socialismo fosse molto diverso dal comunismo, docenti e studenti ci convincemmo che avremmo avuto bisogno di un cambio che permettesse al Paese di raggiungere una serenità sociale, con una ricchezza ben distribuita.

Negli anni Novanta il nostro mondo culturale restava sempre intorno all’Università, eravamo un po’ più grandicelli, chi dottorando e chi cominciava a insegnare. C’era un vero e proprio cantiere culturale, che non si occupava solo di Linguistica o di Fisica, ma spesso approfondiva temi molto importanti, quelli che avrebbero attirato qualcuno che cominciava a muoversi all’interno di una società stanca di patire, a cui certo non mancava da mangiare, non mancavano i servizi essenziali, ma che continuava ad essere molto corrotta.

II giovane Hugo Chávez Frias s’inserì in questo contesto. Più tardi tentò anche un colpo di stato, ma non gli andò bene. Lui continuò il suo assiduo lavoro di convinzione. Fu proprio all’interno delle aule dell’Università che l’ormai conosciuto Hugo Chávez, parlò dei suoi programmi di governo qualora avesse vinto. I suoi passi sembravano quelli giusti, arrivava come il cacio sui maccheroni, parlava di beni per tutti, di giustizia, di lotta contro la criminalità, di giusti rapporti con l’estero per portare il Venezuela ad essere stimato da tutti e autonomo nella gestione delle proprie risorse. Ci piacque. I docenti avevano il sorriso dipinto sulla faccia e noi sbarbatelli dottorandi ci sembrava che finalmente era arrivato il momento di dare a Cesare quel che è di Cesare.  Gli stessi docenti che oggi combattono con le unghie e con i denti, contro la dittatura di Maduro.

Il futuro caudillo si conquistò la simpatia di tutti. Ci sapeva fare, era pure simpatico anche se alcune delle sue battute, ad esempio contro gli omosessuali, sembravano un po’ troppo colorite. Credemmo in questo uomo che come noi arrivava dal popolo. Io ero di San Martín, quindi non vivevo in una zona considerata di lusso, ma ci stavo bene. Tutti ci demmo da fare. Scrivevamo articoli. Lavoravamo con le redazioni televisive. Parlavamo in pubblico dove potevamo. Era un semplice aiuto per migliorare il Venezuela. Moltissimi erano quelli che avevano preso a cuore questo uomo. Nel 1998. Infatti, vinse lealmente con il 70% dei voti.

Divenne il Presidente del Venezuela e le cose, quasi a vista d’occhio cominciarono a cambiare. Il messaggio non era più quello di prima. L’attacco contro gli Stati Uniti andava di pari passo con l’alleanza con Cuba. Patti di ogni tipo, dalla scuola alla sanità, venivano stretti con Castro. Già da subito ci parve che a comandare non fosse Chávez, ma Fidel.  Qualcosa faceva di buono, come rendere parchi naturali zone del Venezuela che altrimenti sarebbero state distrutte dal cemento, ma contemporaneamente si dedicava più ai cubani che ai venezuelani. Diceva, nei suoi pochi discorsi non davanti alle telecamere, che l’amicizia cubana sarebbe stata molto utile al Venezuela. A me qualcosa cominciò a “puzzare” perché il suo progetto era quello di dedicarsi immediatamente ai venezuelani e non sperperare i soldi del Paese per mantenere altri. Prima noi e poi avrebbe dovuto pensare agli altri, ma dietro tutto questo c’era un progetto, pagare Castro affinchè questi riuscisse a tessere un progetto strategico-socio-economico che attirasse poi altre nazioni dell’America latina, quelle che oggi ancora appoggiano il chavismo perché vivono da parassiti mangiando sulla testa del Venezuela.

Io e altri tre amici cominciammo a non accettare questo e scrivemmo qualcosa. Fummo subito additati come nemici, ma avevano in qualche modo previsto quello che sarebbe accaduto. Il programma chavista prevedeva di fare tantissima propaganda in modo che all’estero pensassero che la sua rivoluzione fosse la rivoluzione di tutti, facendo credere al mondo che le cose andavano bene. In realtà lo scopo di tutto era mantenere il popolo ignorante, proprio come faceva Saddam Hussein, affamarlo, per poi dargli qualche briciola e tenerselo stretto. I soldi servivano, oltre che per sé e  i suoi seguaci, a finanziare la propaganda di cui ho già parlato.

Man mano che passavano i mesi il suo governo era sempre più una dittatura, un regime militare, che non gradiva chi fosse contro la sua politica. Dalla sera alla mattina licenziò tutti quelli che lavoravano alla PDVSA e li sostituì con gente a lui cara. Mentre faceva questo prometteva a tutti tempi migliori, la lotta contro l’Imperialismo, l’uguaglianza ma, in realtà, era proprio lui che si sentiva un imperatore.

Ci allontanammo disgustati da quanto fino a un paio di anni prima avevamo apprezzato, il mondo di Chavez. Di notte studiava cosa doveva fare e di giorno agiva. Chiuse giornali e Tv non in linea con il suo governo. Cominciò ad esercitare sul popolo ogni forma di repressione. Diceva tranquillamente in pubblico, durante le ore di estenuanti cadenas in diretta tv, che i contrari sarebbero stati puniti, che sapeva benissimo chi lavorava contro la sua rivoluzione.

Gli anni trascorrevano e le libertà dell’uomo venivano meno. La democrazia diventò un sogno. Il regime si impadronì di tutto e per mostrare che stava operando da socialista, cominciò  ad attaccare la proprietà privata, anche di persone che dopo anni da emigrati venivano espropriati dei propri beni. Lui e il suo entourage, però, aprivano conti correnti a Miami e a Montecarlo, arricchendosi e offrendo una vita da nababbi alle proprie famiglie.

Da parte mia dopo poco tempo mi ero accorto che si trattava di una maschera quella di Chavez, che saremmo arrivati al punto di non poter sopportare un regime oppressivo che diventava, giorno dopo giorno, la prigione delle idee, della libera espressione, della democrazia. Voleva restare al comando vita natural durante, perché lui si sentiva un imperatore. Anche se continuava ad avere un 50% di popolo in suo favore, il chavismo si avviava a percorrere una strada in salita. Era evidente che stavamo entrando in una dittatura, molti cominciavano a rendersene conto. Quando capimmo che anche il CNE “Consejo Nacional Electoral’ (organismo che si occupa delle votazioni) era nelle sue mani, dal momento che i dieci “rectores” che lo presiedevano appartenevano al partito di governo,  sprofondammo nella più cupa disperazione: solo la morte avrebbe potuto liberarci da questo dittatore. Continuava ad avere un ascendente su una parte del popolo, quella più ignorante, certamente, ma era anche quella che portava voti anche se l’ingresso e la cittadinanza era garantita a cubani, a cinesi, a chiunque avesse votato per lui.

Durante le votazioni le bande di colectivos, le stesse che oggi massacrano gli studenti insieme alla GN, avevano il compito di minacciare la gente davanti ai seggi elettorali, di minacciare anche i rappresentanti dell’opposizione e spesso, soprattutto gli anziani, rinunciavano al voto e lasciavano che fossero loro stessi a votare. Non erano i computer che sbagliavano, erano solo brogli e truffe organizzate per bene.  Aumentavano i prigionieri politici, condannati perché non in linea, i giornalisti si auto esiliavano, noi amici ce ne andammo in Italia in terra d’origine dei nostri genitori, non c’era più spazio per l’onestà mediatica, era tutto stabilito.

Arrivò la sua morte, come tutti sanno, lasciò immense ricchezze alla famiglia e ancora oggi ci si chiede quale sia stata la sua vera morte o se in qualche modo ne abbia anticipato il decorso Fidel Castro per poter utilizzare Maduro, che certo non brilla né di intelligenza e neppure di  carattere.

Arrivò Maduro con brogli elettorali sotto gli occhi di tutti e si insediò illegittimamente al governo. Non è mai piaciuto e non piacerà mai, neppure ai chavisti. La povertà è aumentata, l’inflazione arriva al 57%, nessuno produce più nulla e non si trova niente nei supermercati, la delinquenza è insopportabile, la repressione e la violenza sono diventate le padrone della dittatura di Maduro. Un Castro-chavismo-madurismo che è solo morte, come possiamo vedere, che non rispetta i diritti umani e che spera di ottenere con la violenza e l’omicidio di tanta gente inerme che protesta per fame e per paura, quello che non riesce ad ottenere con il voto: la fiducia. Anche la O.E.A. è composta, per lo più, da paesi che succhiano dal Venezuela, impensabile riceverne aiuto. È una storia come tante, ma non dimenticheremo paesi come il Panama, che oggi ci stanno vicini e non dimenticheremo quelli che, per interesse, ci hanno voltate le spalle.

Oggi so di aver avuto ragione e non mi pento di aver cercato di capire e di aver fiducia in un uomo che si presentava come il nuovo liberatore ma che è stato il padre della nuova repressione. Oggi il Venezuela è vittima della peggiore dittatura della sua storia ed è sola. Il petrolio è non solo la sua ricchezza, ma è diventato la sua condanna. Paesi che ne beneficiano, tra cui l’Italia, fingono di non sapere cosa stia accadendo e intanto il popolo muore.

Aiutiamo il Venezuela

Cosmo de La Fuente (Carlos Gullì)
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Partecipazione Carlos  a Tgcom24 con Tony Capuozzo:
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