Che le cose nel nostro Paese non andassero bene, lo sapevamo tutti, ma i dati diffusi ieri dall‘Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) hanno tinto di grigio anche le previsioni per l’immediato futuro.
Nel suo “Employment Outlook”, l’organizzazione parigina – che ha focalizzato l’attenzione sulla difficile situazione occupazionale internazionale – ha fornito stime particolarmente allarmanti per l’Italia. Dove la percentuale di disoccupati, nel 2013, è stata del 12,6% (2,4 punti percentuale in più rispetto alla media europea): più del doppio di quella registrata nel 2007 (periodo pre-crisi) quando si era fermata al 6,1%.
E le previsioni per l’immediato futuro (come già accennato) non promettono nulla di buono perché, secondo l’Ocse, il tasso di disoccupazione italiano continuerà a salire per tutto l’anno in corso raggiungendo il 12,9%, mentre una pallida flessione dovrebbe profilarsi nel 2015 quando la percentuale calerà (sempre a parere dellOcse) al 12,2%.
Fin qui i dati generali. Ma se si focalizza l’attenzione sul target dei giovani, il quadro si fa ancora più fosco. Tra gli under 25 italiani, infatti, il tasso di disoccupazione nel 2013 ha raggiunto il 40%, doppiando tristemente la percentuale del 20,3% rilevata nel 2007. Con differenze di genere non da poco: il 41,4% dei giovani senza lavoro è, infatti, donna, mentre il 39% è uomo.
Ma anche chi un lavoro è riuscito faticosamente a trovarlo, non può dormire sonni tranquilli per via dei contratti di lavoro precario che interessano il 52,5% dei giovani italiani (nel 2007 era il 42,3%). Una “distorsione”, quella dei contratti precari, che non interessa solo i giovani, ma tutto il campione nazionale, se è vero (come certificato dall’Ocse) che 7 neossunti su 10 nel Bel Paese entrano nel mondo del lavoro attraverso questa particolare tipologia contrattuale; una percentuale (il 70%) che, ha messo in rilievo l’Ocse, è una delle più elevate a livello mondiale.
E c’è un altro segmento di popolazione che, se possibile, desta ancora più preoccupazione: quello rappresentato dai cosiddetti “Neet” (giovani che né lavorano né studiano o si formano per farlo). La loro quota, stando ai calcoli dell’istituto di Parigi, è salita di ben 6,1 punti percentuale raggiungendo il 22,4% nel 2013 : “Questa dinamica – ha evidenziato l’Ocse – contrasta con quella della maggior parte dei Paesi Ocse, in cui i giovani hanno reagito alle scarse prospettive occupazionali aumentando l’investimento in istruzione”. Da qui l’allarme “stigma” denunciato dall’organizzazione secondo cui i giovani Neet italiani potrebbero “subire un calo permanente delle prospettive di occupazione e remunerazione“.
La fotografia scattata dall’Ocse non concede, insomma, troppe speranze. “Nel confronto con gli altri Paesi avanzati – si legge nella sezione del documento che ci riguarda – in Italia non è solo elevata la quota di disoccupati, ma anche quella di occupati con un lavoro di scarsa qualità“. “Il lavoro in Italia sembra essere caratterizzato da un basso livello di sicurezza, a causa dell’elevato rischio di disoccupazione – ha rincarato l’Ocse – e di un sistema di protezione sociale caratterizzato da un tasso di copertura piuttosto ridotto e da un contributo economico poco generoso per gli aventi diritto”. Da qui (forse) si può solo risalire.