Nell’Italia che continua a “scornarsi” sull’articolo 18 e sul paventato ridimensionamento delle tutele dei lavoratori (che ha aperto nuovi fronti di scontro tra il governo e i sindacati e all’interno del Pd), a indicare la strada maestra potrebbe essere il gruppo A2A ,che ha deciso di far quadrare i conti intervenendo sui compensi dei dirigenti anziché sui salari dei dipendenti.
Con una nota diffusa ieri, la multiutility che opera nel settore ambientale e del teleriscaldamento ha, infatti, comunicato che, su proposta del comitato per la remunerazione e le nomine e con il parere favorevole del collegio sindacale, il Consiglio d’amministrazione ha deciso di ridurre di oltre il 50% il monte ore complessivo dei compensi dei vertici dell’azienda. Un’operazione che, stando ai calcoli effettuarti dallo stesso gruppo, si tradurrà in un abbattimento dei costi stimato intorno al 65%.
Nel dettaglio: al presidente esecutivo verrà corrisposto un compenso lordo di 390 mila euro annui (senza alcuna componente variabile), al vice presidente di 40 mila euro annui (senza alcuna componente variabile), mentre l‘amministratore delegato intascherà 620 mila euro all’anno, più un compenso variabile, legato al raggiungimento di determinati obiettivi, che non potrà superare il 40% dell’emolumento complessivo. Ma l’amministratore delegato di A2A ha già comunicato di voler rinunciare ai compensi variabili previsti per l’anno in corso, rimarcando il messaggio lanciato ieri dall’azienda: per incoraggiare la ripresa, è opportuno (e sensato) chiedere sacrifici a chi gode di una situazione economica ampiamente consolidata. E non a chi fatica ad arrivare a fine mese.