Il fatto è inconfutabile e ha spalancato le porte a un dibattito che sembra non volersi esaurire mai: l’eccesso di talk show nella nostra televisione va inquadrato come un “guasto” su cui intervenire o come una particolarità da salvaguardare? La discussione ha conquistato un po’ tutti, alimentando (in maniera sostanzialmente equilibrata) tanto la schiera dei detrattori più inclementi (coloro che vorrebbero, cioè, solo certificare l’ora di decesso dei talk) quanto quella dei sostenitori più convinti, esaltati dall’overdose di programmi che macinano confronti a favor di telecamere.
A intervenire sul tema sono stati ieri il senatore del M5S, Alberto Airola, che ha affidato al blog di Beppe Grillo la sua personale considerazione, e il giornalista Michele Santoro che, alla vigilia della prima di Servizio Pubblico (che tornerà in onda stasera su La7), ha detto la sua su Facebook.
“I talk sono tanti perché questo sistema politico e governativo si regge grazie alle insignificanti chiacchiere che oramai saturano l’etere televisivo senza mai chiarire al cittadino i veri problemi da affrontare e le soluzioni proposte – ha subito affondato Airola – In gergo si chiama ‘rumore’: una miriade di parole e a volte schiamazzi che si sovrappongono, che non sono dibattito politico ma show, finalizzato a creare ancora più confusione sui temi e scatenare un tifo da stadio tra i ‘contendenti'”.
“Andarci significa dargli audience, forza e collaborare alla disinformazione”, ha rincarato il pentastellato, che ha passato in rassegna i tanti programmi che, da mattina a sera, “ingorgano” i palinsesti televisivi: da Coffe Break ad Agorà, da L’Aria che tira a La Vita in diretta, senza dimenticare i “domenicali” l’Arena di Massimo Giletti e In ½ ora di Lucia Annunziata. Quanto all’offerta serale, si parte da 8 e 1/2 con Lilli Gruber (momentaneamente sostituita da Giovanni Floris) a Diciannoveequaranta di Flors (momentaneamente sospeso), per poi proseguire con Di Martedì, Ballarò, La Gabbia, Servizio Pubblico, Vespa, Matrix, Virus, Tg3 Linea notte e così via. “Per contrastare veramente la disinformazione – ha osservato Airola – bisogna fare i conti con 12 ore di palinsesto per almeno 7 canali, si deve passare la vita lavorativa in Tv invece di provare a bloccare in Aula e in Commissione al Parlamento le porcate che producono le larghe intese. E’ per questo che ci avete eletto?”.
A pensarla diversamente è, invece, Michele Santoro che, pur non lesinando critiche ai talk show, si è schierato a sostegno della loro “conservazione”. “Assistiamo all’incredibile paradosso di un calo della domanda del pubblico a cui corrisponde un’incredibile moltiplicazione dell’offerta – ha scritto ieri il giornalista su facebook – ma quando Grillo celebra la morte dei talk o quando Renzi sostiene che queste trasmissioni costruiscono un’immagine negativa dell’Italia, siete portati a considerare innocue queste affermazioni e a dar loro ragione. Invece sbagliate”. “Prima di tutto perché – ha spiegato l’ideatore di Servizio Pubblico – ai politici dovrebbe essere proibito di fare qualunque affermazione che limiti la libertà di pensiero e di informazione. Senza trasmissioni come la nostra, il racconto della crisi della Prima Repubblica e di Tangentopoli non sarebbe stato lo stesso, non si sarebbe parlato di mafia, del referendum sul maggioritario, delle guerre, dei sequestri, dell’inquinamento, di Berlusconi, della Trattativa, della Lega, di Grillo e degli esiti tragici dell’austerity di Monti. I tg, con qualche eccezione – ha continuato nel suo ragionamento Santoro – tendono a riprodurre l’ordine esistente, mentre i cosiddetti talk sono costretti a cercare filoni, storie e protagonisti diversi. Se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. Spetta a voi – ha concluso il giornalista appellandosi alla maturità dei telespettatori – fare la selezione, cambiare canale, far sparire le imitazioni senza identità”.