Non c’è organo d’informazione che dimentichi (anche solo per un giorno) di menzionare ciò che Matteo Renzi fa o dice. Da quando l’ex “rottamatore” ha varcato l’ingresso di Palazzo Chigi, la sua visibilità mediatica è cresciuta in maniera esponenziale, costringendo in un cono d’ombra tutti i presunti o potenziali competitors. E non ci riferiamo solo ai democratici che la pensano, su molte cose, in maniera differente dalla sua (i vari D’Alema e Bersani “silenziati” a ogni piè sospinto), ma anche ai leader degli altri schieramenti politici che, a causa dell’incontrollata predisposizione del premier all’inquadratura televisiva, faticano sempre più a imporsi e a farsi ascoltare.
A rimanere schiacciato è stato anche il “maestro comunicativo” per eccellenza, quel Silvio Berlusconi che, dagli anni ’90, ha incantato stuoli di connazionali con sorrisi e parole suadenti. L’ex Cavaliere decaduto è rimasto vittima del “protagonismo” renziano e, nel corso degli ultimi mesi, ha assunto i contorni di una figura sempre più sfumata, indefinita, rimasta ai margini non solo (e non tanto) della partita politica quanto, piuttosto, di quella mediatico-comunicativa nella quale, negli ultimi decenni, si era ritagliato un ruolo da “goleador”.
E se una sorte così infausta è toccata a chi non difetta certo di carisma, figuriamoci cosa può accadere a quanti non dispongono, invece, di quel “quid” alchemico capace di persuadere le masse. Come Angelino Alfano, per intenderci, che nonostante i numerosi e prestigiosi incarichi (da ministro dell’Interno a numero uno del Ncd), non riesce mai a conquistare le prime pagine dei giornali o le aperture dei telegiornali. Pur industriandosi in ogni modo e scegliendo di intervenire su tutto ciò che diviene oggetto di discussione pubblica (dalle unioni gay alla legge di stabilità; dall’immigrazione ai diritti dei lavoratori).
Deve accontentarsi della “marginalità” anche il segretario della Lega, Matteo Salvini, che con il premier non condivide solo il nome di battesimo, ma anche un’innata carica comunicativa. Che, però, nel caso del leghista, viene largamente trascurata dai mezzi d’informazione, salvo quando il leader del Carroccio sceglie di “spararla grossa” (succede quasi sempre quando parla di immigrati) conquistandosi l’attenzione nazionale. Vita dura anche per Giorgia Meloni, alla quale vanno riconosciute una capacità dialettica e una coerenza di pensiero rocciose. Che non bastano, però, a renderla protagonista della scena mediatico-politica, soprattutto perché rappresenta una forza (Fratelli d’Italia) che alla Camera non conta più di 10 eletti.
E cosa dire dei “montiani” che anche quando vantavano il loro leader alla guida del governo stentavano a imporsi nelle tv e sui giornali? Da quanto l’ex sindaco di Firenze ha preso il comando dell’esecutivo, Scelta Civica ha assunto contorni “ectoplasmatici”, inoltrandosi speditamente lungo il sentiero che porta all’oblio. Ma a rimanere vittima del “renzismo” che strizza l’occhio a tutto ciò che produce immagine (e dunque consenso popolare) è stato anche Nichi Vendola. La “narrazione” del leader di Sel non incanta più da diverso tempo e, fuori dai confini della Puglia (di cui Vendola è governatore), i suoi “barocchismi” linguistici e concettuali vengono quasi completamente ignorati.
A fare da “controcanto” al vulcanico presidente del Consiglio resta solo Beppe Grillo che, soprattutto dopo la tre giorni al Circo Massimo di Roma che ha rinforzato la sua immagine di “disturbatore”, è tornato al centro dell’attenzione mediatica. Una presenza, quella del comico genovese nelle tv di tutta Italia, che deve aver infastidito non poco Matteo Renzi che ha, infatti, deciso di ingaggiare un duello serratissimo col suo avversario, rispondendo alla provocazione del referendum sull’Euro (proposto da Grillo) con l’annuncio della riduzione dell’Irap, consegnato ieri da Bergamo a tutti gli imprenditori d’Italia. Uno scontro titanico, a colpi di share e visualizzazioni sulla Rete.