Il lavoro è diventato una vera e propria ossessione, soprattutto per quell’esercito di giovani connazionali (che hanno superato il 44% del totale) che non riesce a trovarlo. L’idea del vecchio posto fisso, impiegatizio, scandito dal trascorrere delle ore dietro una scrivania piena di carte si fa sempre più sfumata nell’immaginario generale per cedere il passo a qualcosa di più innovativo su cui la Scuola di Management del Politecnico di Milano ha recentemente indagato.
Come? Interpellando 211 aziende di medie e grandi dimensioni sul cosiddetto “smart working”, ovvero sulla possibilità di far lavorare i propri professionisti fuori dall’ufficio, dotandoli di tutti quegli strumenti tecnologici che possano permettere loro di raggiungere gli obiettivi prefissati. La ricerca del Politecnico di Milano ha svelato che il 67% delle aziende intervistate è favorevole a tale metodologia di lavoro, ma solo l’8% l’ha intrapresa. Una percentuale abbastanza esigua che, nei prossimi due anni, stando alle previsioni dei ricercatori, crescerà fino al 19%.
Tornando al presente: il 51% dei professionisti intervistati ha dichiarato di lavorare già lontano dal proprio ufficio (quasi sempre, però, per brevi periodi), ma solo il 20% può essere catalogato come vero e proprio “smart worker”. Che, nel 48% dei casi, lavora appoggiandosi alle sedi di altre aziende; nel 47% dei casi, “trovando ospitalità” presso i propri clienti; nel 19% dei casi, si affida agli spazi di “co-working”; e nel 16% dei casi, svolge la propria attività in luoghi pubblici come bar, aeroporti o biblioteche.
Con risultati più che positivi: il 49% del campione interpellato ha, infatti, detto di aver constatato un accrescimento della propria soddisfazione e della propria autonomia di lavoro; il 38% ha benedetto lo smart working perché fornisce importanti occasioni di formazione e consente di ampliare la cerchia delle proprie conoscenze; mentre il 34% lo promuove per le opportunità di crescita professionale.
Ma cosa serve esattamente allo smart worker? Se il medico non può operare senza i suoi ferri e l’insegnante non può fare a meno di libri, pennarelli e registri, tutto ciò di cui ha bisogno lo smart worker sono, invece, gli strumenti tecnologici di ultima generazione. Gli smartphone, sopra ogni cosa, scelti dal 91% degli intervistati; seguiti dai tablet, utilizzati dal 66% del campione; e dagli ultrabook (computer portatili particolarmente piccoli e leggeri) che vengono adoperati, invece, dal 44% di coloro che non usano sedersi dietro una scrivania.
Apparecchi indispensabili per fare, anche fuori dall’ufficio, tutto ciò che occorre per portare a termine i compiti assegnati. Sfruttando le tecnologie della cosiddetta “unified communication and collaboration”, come il VoIP (che consente di effettuare chiamate telefoniche sfruttando una connessione internet) o tutti quei dispositivi e quelle applicazioni che permettono di organizzare conferenze a distanza (Web conference) e di comunicare in tempo reale con clienti e colleghi attraverso un sistema di istant messaging. Tecnologie che, stando a quanto certificato dall’indagine del Politecnico di Milano, sono già utilizzate dal 70% delle aziende intervistate.