Le piccole e medie imprese italiane sono 144 mila e generano un giro di affari di 851 miliardi di euro, pari al 12% del Pil. Per questo la crisi che le ha investite in maniera così violenta negli ultimi anni, causando – come vedremo – una vera e propria “moria”, espone l’intera economia nazionale a un rischio davvero pesante.
A lanciare l’allarme è stato l’ultimo Rapporto confezionato dal Cerved che ha contabilizzato, dal 2008 ad oggi, il fallimento di 13 mila pmi, aggiungendo che 5 mila hanno avviato la procedura concorsuale non fallimentare e 23 mila sono state liquidate volontariamente. Un quadro catastrofico, riassumibile in quanto segue: un quinto del totale delle piccole e medie imprese che operano in Italia è stato spazzato via dal mercato.
E chi è riuscito a “sopravvivere” non versa certo in buone acque. Stando ai dati del Rapporto, il margine operativo lordo (Mol) delle pmi che non sono crollate si è ridotto del 31% e la loro redditività si è più che dimezzata, passando dal 13,9% del 2008 al 5,6% attuale.
Ma cosa ha causato una tale “ecatombe”? La crisi, ovviamente – che nella maggior parte dei casi, come precisato dall’amministratore delegato di Cerved, Gianandrea De Bernardis, ha solo accelerato un processo di “disfacimento” che era già partito – ma non solo. A pesare molto è stata anche la mancanza di liquidità. La restrizione del credito da parte delle banche ha causato problemi ingenti a molte piccole e medie imprese (soprattutto a quelle più in difficoltà) che non sono più state in grado di fronteggiare le spese necessarie a garantire la loro “sopravvivenza”.
E il peggio potrebbe non essere passato perché, stando a quanto riportato nel Rapporto, le sofferenze bancarie delle pmi italiane, che hanno finora toccato il massimo del 2,9% nel 2013, potrebbero crescere ulteriormente nel biennio 2014-2016 superando la soglia del 3%.