A conquistare le prime pagine dei giornali sono spesso le aziende più strutturate, quelle che contano un numero importante di dipendenti e sedi dislocate in tutto il mondo. Ma l’ossatura del nostro sistema imprenditoriale è costituito dalle aziende familiari di piccole e medie dimensioni di cui la sesta edizione dell’Osservatorio Aub – promosso da Aidaf (Associazione italiana delle aziende familiari), Unicredit, Cattedra Aidaf-Ey e dalla Camera di Commercio di Milano – ci ha fornito una panoramica dettagliata.
L’indagine è stata condotta su un campione di 4.100 aziende con ricavi pari o superiori ai 50 milioni di euro svelando che, dal 2007 a oggi, il 40% di esse è cambiato. Ovvero molte sono uscite dal mercato per essere sostituite da nuove realtà, mantenendo però pressoché invariato il numero finale.
Ma l’aspetto sicuramente più interessante dello studio promosso dall’Aidaf è quello che mette in luce la stoica resistenza delle aziende familiari agli urti della crisi. Dopo il periodo nero iniziale del 2008/2009, infatti, le imprese guidate da nuclei familiari sono riuscite (dal 2009 al 2013) a invertire la tendenza, facendo crescere di 10 punti in più il loro fatturato rispetto alle aziende non familiari.
A rendere la vita difficile sono, invece, i debiti. Stando ai dati raccolti dall’Osservatorio, la capacità delle aziende familiari di ripagare il debito rimane bassa e fa registrare un 6,1 (misurato dal rapporto Pfn/Ebitda) significativamente superiore rispetto al 4,8 delle imprese non familiari. E c’è da sottolineare che queste aziende tradiscono solitamente una scarsa propensione al ricambio generazionale: incrociando i dati dell’Osservatorio con quelli dell’Istat, emerge, infatti, con chiarezza che i cambi al vertice sono quantomai limitati, con il risultato che un quinto delle aziende scrutate è guidata da un leader che ha già spento le 70 candeline.
Ancora: l’assetto familiare strutturato può rappresentare un freno alla crescita. L’indagine dell’Aidaf ha, infatti, documentato che le aziende che contano un numero più basso di membri della famiglia proprietaria nei Consigli di amministrazione sono quelle che effettuano più acquisizioni e che vantano i tassi di crescita migliori. E quelle che propendono di più a internazionalizzare, ovvero a vincere i confini italiani per portare la loro attività anche all’estero. Rilevamenti, questi, in linea con la tradizionale immagine conservatrice della famiglia italiana che fatica a benedire cambiamenti, specialmente in periodi di grande incertezza come questi.
Il confronto con i principali Paesi europei conferma, poi, la “specificità” italiana delle aziende familiari: se nel nostro Paese rappresentano il 40,7% del totale, in Germania sono il 36,7% e in Francia il 36%. Ancora: l’Italia è il Paese con la maggiore incidenza di leader familiari (51,3% rispetto al 33% di Francia e Germania) e, insieme alla Spagna, lo Stato europeo che detiene il primato per numero di consiglieri familiari (1 su 3 contro la media di 1 su 7).