C’è una video-inchiesta realizzata da Telejato – la piccola emittente televisiva di Partinico, guidata da Pino Maniaci, che da anni denuncia la forte presenza mafiosa nel territorio siciliano – che merita, a nostro avviso, di essere attenzionata. Se non altro perché profila interrogativi importanti su cosa è giusto e cosa non lo è. Mettendo in discussione la linea di demarcazione che, spesso con troppa approssimazione, viene tratteggiata per distinguere i “delinquenti” da coloro che dovrebbero combatterli.
Questi i fatti: la squadra giornalistica capitanata da Pino Maniaci ha avviato un’inchiesta sui beni sequestrati ai mafiosi scoprendo che il 90% delle imprese poste sotto sequestro finisce per fallire. Quando un bene viene sequestrato, bisogna verificare se esso è effettivamente frutto di un comportamento illecito oppure no. In questa fase di accertamenti, che possono condurre alla confisca o al dissequestro dell’immobile, lo stesso bene viene affidato agli amministratori giudiziari.
Chi sono? Degli avvocati nominati dal tribunale che, non disponendo di alcuna competenza manageriale, portano spesso le aziende sequestrate al fallimento. Ma c’è di più: la video-inchiesta di Telejato ha messo in evidenza come il Tribunale di Palermo tendi a nominare sempre gli stessi amministratori giudiziari, prediligendo tra tutti un certo Gaetano Cappellano Seminara al quale sarebbero stati affidati 54 incarichi per un totale di circa 200 imprese sequestrate da gestire.
Un’impresa titanica per chiunque, figuriamoci per chi, come Cappellano Seminara, viene definito dai suoi stessi colleghi un “avvocato da quattro soldi”. Affidare a uno come lui le aziende sequestrate ai mafiosi significa condannarle al sicuro fallimento. Cosa che – è il sospetto sollevato dai giornalisti di Telejato – potrebbe essere conveniente per qualcuno.
“La dichiarazione di fallimento e la messa in liquidazione dei beni confiscati – si spiega nell’inchiesta – è la strada più facile per gli amministratori giudiziari perché li esonera dall’obbligo di rendicontare e consente loro di ‘svendere’ i mezzi, le attrezzature, i materiali girando spesso gli stessi beni ad aziende collaterali legate agli amministratori giudiziari”. “La pratica di vendere parti delle aziende mentre sono ancora sotto sequestro è abbastanza consolidata – rincarano i giornalisti – e ci si ritrova con aziende svuotate e distrutte ancor prima del giudizio definitivo, che sia di confisca o dissequestro”.
Un comportamento che, se venisse accertato, profilerebbe ombre pesantissime su chi si professa nemico della mafia. Che, è la considerazione consegnata da Giancarlo Caselli, non potrebbe che uscirne rinforzata. “Se alla mafia vengono portate via delle ricchezze che poi non si fanno funzionare – ha spiegato l’ex Procuratore di Palermo – i mafiosi hanno buon gioco a dire: quando ce l’avevo io, ci guadagnavo soprattutto io, ma qualcosa per voi c’era. Fatevi i conti: meglio con me o con lo Stato?”.
I risultati dell’inchiesta della tv siciliana, intitolata “La Mafia dell’Antimafia”, ha spinto Pino Maniaci a presentare una petizione (sottoscrivibile su Internet) e a inoltrare una lettera ai responsabili della Commissione Antimafia – dalla presidente, Rosy Bindi, ai vicepresidenti, Claudio Fava e Luigi Gaetti – ai quali ha espressamente chiesto di essere ricevuto per esporre i suoi sospetti sul “business dell’Antimafia”.