Palermo: la crisi spazza via la Coalma

Coalma

 

Ad avere la meglio sulla Coalma, fabbrica specializzata nella produzione di tonno in scatola, è stata la crisi. Gli atti di transizione di fine rapporto firmati, nei giorni scorsi, dai sindacati hanno fatto scorrere i titoli di coda sulla storica azienda palermitana decretando la fine di oltre 90 di attività.

Le prime difficoltà si erano manifestate nel 2006. Nel 2009, l’azienda aveva proposto il licenziamento delle sue 75 lavoratrici, salvaguardando solo gli uomini. Una mossa “discriminatoria” che aveva suscitato grande scalpore ed era stata osteggiata dagli stessi dipendenti. Ma le cose non andarono meglio. Anzi: un anno e mezzo fa, era scattata la cassa integrazione ordinaria per tutti i dipendenti, a cui aveva fatto seguito la mobilità. Risultato? Dei 160 dipendenti che la Coalma contava nei tempi d’oro, ne erano rimasti solo 45 (tra operai e amministrativi). Da ieri neanche quelli.

Ma c’è chi sostiene che poteva andare peggio. “Siamo riusciti a prevedere anche un piccolo incentivo economico per i lavoratori – hanno detto Tonino Russo e Rosi Pennino della Flai Cgil Palermo – Con senso di responsabilità, siamo riusciti a scongiurare il fallimento che avrebbe decretato la fine del marchio, che oggi invece può essere riutilizzato. Vanno ringraziati sia i lavoratori, alcuni dei quali hanno iniziato a lavorare a 16 anni da stagionali – hanno precisato Russo e Pennino – che il sindacato: un fallimento del marchio avrebbe reso tutto ancora più nero. L’accordo è a tutela dei lavoratori: prevede che, se domani la Coalma dovesse riprendere l’attività – hanno spiegato i sindacalisti – deve  assumere gli stessi lavoratori che, in questi anni, hanno dimostrato un grande attaccamento alla fabbrica”.

“E’ una giornata triste per il sindacato, i  lavoratori e la città di Palermo – hanno aggiunto i dirigenti della Flai Cgil – La Coalma aveva creato occupazione nel cuore di Brancaccio, un quartiere di periferia ad altissimo tasso di povertà. E’ un altro colpo all’occupazione dovuto alla crisi, alle nuove normative che hanno vietato la pesca del tonno rosso e alle condizioni capestro praticate dalle banche che – hanno denunciato Pennino e Russo – non concedono credito alle piccole e medie aziende”.