Parlare di politiche pubbliche per la cultura, nel periodo storico forse più critico per i paesi dell’Eurozona, è compito alquanto arduo. L’asfissiante crisi economica comprime la spesa statale soprattutto in quei settori, in primis la cultura, in cui sarebbe necessario un maggiore intervento pubblico. I tagli agli investimenti, sia pubblici che privati, soffocano le attività culturali, senza risparmiare le politiche di conservazione dell’ingente patrimonio culturale italiano.
Negli ultimi dieci anni le varie leggi di bilancio hanno gradualmente eroso il plafond di spesa del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, nello specifico meno 27,4%, con la previsione di un ulteriore calo del 3% per il prossimo triennio. Non meno bene la situazione sul versante locale: fra il 2011 ed il 2012 gli stanziamenti dei Comuni a favore delle attività culturali sono diminuiti del 9,4%, quelli provinciali addirittura del 25%.
Dall’analisi dei dati sul fronte privato viene la conferma di gravi criticità: fra il 2008 ed il 2013 si è registrato un calo delle sponsorizzazioni pari al 41%; fra il 2011 ed il 2012 è altrettanto significativo il disimpegno delle fondazioni bancarie, con meno 9%.
A fronte di tali sconfortanti dati, il sistema produttivo culturale (443.458 imprese, pari al 7,3% del totale, che rappresentano il 5,4% dell’economia nazionale), occupa 1,4 milioni di persone (il 5,8% del totale degli occupati in Italia), e rappresenta oggi uno dei pochi settori trainanti dell’economia nazionale (secondo l’indagine Excelsior, realizzata da Unioncamere e dal Ministero del Lavoro, i nuovi occupati nel settore della cultura, nel 2012, sono stati 32 mila; dal 2007 al 2011 il numero degli occupati nel settore è cresciuto annualmente dello 0,8%, a fronte di una flessione annua media dello 0,4%, rilevata per l’intero sistema economico nazionale).
Come coniugare, allora, da un lato il rispetto del Patto di Stabilità interno, con le esigenze della tutela e della valorizzazione del patrimonio storico ed artistico nazionale, dall’altro una seria strategia politica per rilanciare l’economia italiana, con le esigue disponibilità economiche ?
Una delle priorità dell’agenda politica del governo del Paese deve essere rappresentata dall’insieme delle questioni riguardanti le pratiche di conservazione, finalizzate alla valorizzazione della filiera dei beni culturali e dei beni naturali. Ciò per l’alta capacità del patrimonio culturale nazionale di mettere in moto processi virtuosi di sviluppo dei territori di micro e di macroarea.
Oggi più che mai, infatti, con uno scenario caratterizzato dalla massima espansione dei processi di globalizzazione e, di contro, dalla profonda crisi delle economie dell’Eurozona, lo sviluppo territoriale dipende sempre più dal grado di competitività di ciascuna area. La crescente competizione tra i territori impone nuove modalità operative da parte degli attori istituzionali, per favorire e sostenere lo sviluppo locale. Nuova centralità acquisisce, quindi, il «contesto istituzionale», cioè l’insieme di quei fattori socio-culturali e politici che costituiscono il capitale sociale di una determinata realtà locale: lo sviluppo socio-economico tende a dipendere in larga misura dalla capacità degli attori del contesto istituzionale di rimodulare l’offerta culturale del territorio di riferimento, con l’obiettivo di cogliere nuove opportunità di sviluppo.
Nell’attuale clima recessivo, l’economia locale può trovare nuovo slancio con una visione di «sviluppo dal basso», mediante la valorizzazione delle specificità territoriali endogene: ciò che il territorio stesso esprime, da cui la programmazione culturale e la pianificazione territoriale non possano prescindere. I beni d’interesse storico, artistico, archeologico, architettonico, e quelli paesaggistici, sono la massima diretta espressione di un territorio, in quanto testimonianze stratificate della storia e della identità di una comunità.
Il sistema degli attori istituzionali, le funzioni pubbliche relative alla gestione ed alla valorizzazione dei beni culturali, rivestono, pertanto, grande importanza al fine di strutturare efficaci azioni politiche nel settore del patrimonio culturale. Per far ciò è indispensabile l’interazione delle dinamiche pubbliche e private, delle risorse endogene ed esogene, così da creare quel surplus di valore che può rendere competitivo un determinato territorio: nel concreto, dalla comunicazione e dalla promozione del cospicuo patrimonio culturale locale può dipendere lo sviluppo di una intera area territoriale.
La ricchezza del nostro paese dipende in larga parte anche dalle tante realtà territoriali e dalla diversità dei fenomeni culturali di tali territori, cioè proprio quegli elementi endogeni su cui puntare per lo sviluppo delle aree regionali. Le politiche pubbliche devono tornare, dunque, ad occuparsi di cultura e di patrimonio culturale: le pratiche della conservazione integrata del patrimonio storico – artistico – architettonico – paesaggistico, e le connesse prassi amministrative, non possono non rappresentare un elemento fondante del processo di «governance» del territorio.
Coniugare le politiche della conservazione con le esigenze della valorizzazione e della pubblica fruizione diventa momento imprescindibile nei processi di sviluppo economico per tutte le micro e macro aree (con buona pace di chi in passato ha sostenuto la tesi che “…..con la cultura non si mangia”!): interventi pubblici di qualità nel campo delle politiche culturali, tali da rigenerare il tessuto socio-economico delle realtà locali e mettere al riparo il patrimonio culturale nazionale. L’Italia può ripartire e piegare l’attuale crisi se investe su quella grande ricchezza culturale che tutto il mondo ci invidia: non c’è futuro, né presente, senza la tutela del proprio passato.
[Tutti i dati citati sono ricavati da: Rapporto Unioncamere 2014; Rapporto “Cultura & Turismo” (febbraio 2014), a cura del Formez.]
Antonio Maria Ligresti