L’auspicio è che i rincari scattati ieri portino i fumatori più incalliti a ridimensionare i loro consumi. Ma, a parte i salutisti più convinti, nessuno sembra gioire troppo dell’aumento dei prezzi delle sigarette tradizionali entrato in vigore da ieri in Italia. E se è vero che, sulla carta, si tratta di aumenti relativamente contenuti – si va da un minimo di 10 a un massimo di 20 centesimi a pacchetto – è altrettanto vero che, nell’economia di un fumatore medio, che deve (come tutti gli altri connazionali) fare i conti con la crisi che costringe a tirare costantemente la cinghia, essi possono incidere in maniera importante.
Il decreto governativo che ha portato all’aumento del prezzo delle “bionde” prevede un innalzamento dell’aliquota dal 58,6 al 58,7%, con l’obiettivo dichiarato di “colpire” soprattutto le fasce più basse, ovvero quelle che attirano il maggior numero di acquirenti. In pratica il prezzo aumenta, in maniera più marcata, per le sigarette che, fino a due giorni fa, costavano di meno mentre sale, in maniera più contenuta, per le sigarette più costose.
I rincari dovrebbero portare alle casse dello Stato un “gruzzoletto” di circa 200 milioni di euro, ma c’è già chi mette in guardia dai “contraccolpi” della misura presa. Secondo la Sicpa – azienda specializzata nella fornitura di soluzioni di sicurezza a governi e imprese – infatti, l’aumento del prezzo delle sigarette determinerà un inevitabile incremento del fumo illegale. Detta in cifre: se in Italia, stando ai calcoli forniti dalla Sicpa, si consumano attualmente 3,7 miliardi di pacchetti di sigarette, per un totale d’imposta di circa 13 miliardi il cui 10% è di mercato nero, la quota di quest’ultimo è destinata ad aumentare con i rincari scattati da ieri.