Le quotazioni del professor Stefano Rodotà sono in costante ascesa, ma solo sulla Rete. E’ lì, infatti, che il giurista di Cosenza riscuote plateali consensi, sbancando soprattutto tra i giovani potenziali elettori che non sembrano curarsi troppo della sua veneranda età (ha già superato la soglia degli 80 anni).
Il suo nome venne invocato con forza nel tormentato aprile del 2013 dal Movimento 5 Stelle, da Sel e da una sparuta minoranza del Pd che ne proposero l’ascesa al Colle. Ma i numeri in Aula non diedero loro ragione portando, come è ormai noto a tutti, di lì a breve, alla straordinaria rielezione di Giorgio Napolitano. Di certo, Stefano Rodotà è il candidato che piace di più a sinistra, il “quirinabile” capace di calamitare i favori di coloro che dalla nuova sinistra (quella targata Matteo Renzi, per intenderci) non si sentono più rappresentati. Un papabile presidente della gente, che non disdegna di scendere in piazza per difendere i diritti dei lavoratori e dei cittadini, accompagnandosi spesso a figure “chiacchierate” (soprattutto nel gotha imprenditoriale e nell’establishment di centrodestra) come il segretario della Fiom, Maurizio Landini.
Eppure non bisogna credere che Rodotà sia un elemento estraneo alla politica nostrana. Anzi: il suo esordio avviene, negli anni ’70, nelle fila del Partito Radicale da cui transita, in seguito, al Partito Comunista italiano e alla Sinistra Indipendente per approdare, infine, al Partito democratico della sinistra. Una militanza marcatamente “schierata”, che non gli ha mai procurato incarichi istituzionali di rilievo, fatta eccezione per la vicepresidenza alla Camera ottenuta nel 1992 e per il ministero della Giustizia che gli venne affidato, nel 1989, dal premier-ombra Achille Occhetto.
La percezione che i supporter hanno di lui è quella di un outsider della politica intesa come arte del compromesso e della negoziazione al ribasso. Il suo impegno civico a difesa dei beni pubblici e della corretta informazione (soprattutto sulla Rete) ne ha fatto, negli anni, una sorta di totem a cui i più intransigenti (e disillusi) guardano con speranza, sognando un presidente che, nel suo eventuale primo discorso alla Nazione, rimarchi agli italiani quanto già esposto con forza nei suoi scritti: “I diritti fondamentali si pongono a presidio della vita, che in nessuna sua manifestazione può essere attratta nel mondo delle merci”.