Che l’Italia sia un’eccellenza in campo agroalimentare è cosa riconosciuta da tutti. Per questo il bilancio del 2014 tracciato dai tecnici di Federalimentari ha spianato la strada a un cauto ottimismo che ha spinto gli stessi studiosi a profetizzare un 2015 ricco di soddisfazioni.
Ma andiamo con ordine: il settore agroalimentare italiano – il secondo comparto del manifatturiero – è, indiscutibilmente, una parte importante dell’economia nazionale. A sostegno della tesi, bastino questi numeri: il suo fatturato si aggira intorno ai 132 miliardi di euro annui ed è garantito dall’attività di oltre 58 mila imprese con 385 mila addetti diretti e altri 850 mila lavoratori impiegati nella produzione agricola.
Ebbene, stando a quanto certificato dall’ufficio studi della federazione, i consumi alimentari italiani, nel 2014, hanno fatto registrare un minimale -0,1% (in pratica hanno smesso di diminuire), mentre la produzione dell’agroindustria ha segnato una crescita dello 0,6% e le esportazioni sono aumentate del 3,1%. La fotografia scattata dalla federazione incoraggia, insomma, a pensare che il peggio sia ormai alle nostre spalle e che l’anno appena iniziato possa segnare la tanto attesa ripresa.
Le previsioni dei tecnici per il 2015 si muovono su questa direttrice: i consumi alimentari dovrebbero, infatti, tornare a crescere dello 0,3%, la produzione agroindustriale dovrebbe far registrare un incremento dell’1,1% e le esportazioni dovrebbero agguantare un rotondo +5,5%.
Ma, come ha ben spiegato il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, ci sono tanti fattori che potrebbero far inceppare la ripartenza. “Se non adeguatamente sostenuta – ha messo in chiaro il responsabile della federazione – la ripresa potrebbe essere stroncata sul nascere. Il calo di euro e greggio e il miglioramento del credito per le famiglie e le imprese sono incentivi importanti di sviluppo, ma non sufficienti per un sistema povero di capacità auto-propulsive. Per la prima volta – ha riconosciuto Scordamaglia – è stato costituito un tavolo imprese alimentari-governo e sono stati ripristinati i fondi di 130 milioni di euro del Piano Made in Italy. Ma bisogna andare oltre superando anche l’inerzia di una certa burocrazia, che rischia di compromettere il nostro rilancio e che – ha rincarato il numero uno di Federalimentare – si somma alle difficoltà sui mercati più promettenti per la contraffazione e le barriere non tariffarie sui prodotti italiani”.
Tanto, insomma, resta ancora da fare, soprattutto sul fronte delle esportazioni: “Abbiamo l’obiettivo – ha spiegato Scordamaglia – di spingere l’export agroalimentare a quota 50 miliardi entro la fine del decennio, colmando i gap che ci separano dalla migliore concorrenza comunitaria. Garantiremmo così un aumento degli occupati diretti ed indiretti di circa 100.000 unità. Un obiettivo ambizioso – ha ammesso il presidente della federazione – ma raggiungibile grazie al coordinamento delle istituzioni competenti nell’impiego delle risorse e nel contrastare i principali ostacoli alla competitività del settore”.