Nell’ipotetica classifica dei fattori che, a vario titolo, concorrono a “zavorrare” l’economia italiana, la corruzione merita sicuramente un posizionamento di riguardo. Lo sa bene il presidente della Corte dei Conti, Raffaele Squitieri, che in occasione della cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario che si è svolta ieri a Roma, è tornato a puntare l’indice contro il malaffare.
“Crisi economica e corruzione – ha denunciato il capo dei giudici contabili – procedono di pari passo, in un circolo vizioso nel quale l’una è causa ed effetto dell’altra. La ricerca, talvolta affannosa, di strategie di uscita dalla crisi e la competizione esasperata per l’accesso a risorse limitate favoriscono, infatti, la pratica di vie illecite ed attività illegali”.
Ma perché la corruzione fa così male alla nostra economia? Perché sottrae risorse pubbliche che dovrebbero essere destinate alla collettività (tracciando, tra l’altro, una distanza profondissima tra gli amministratori e i cittadini). Ma non solo: il dilagare della corruzione nel nostro Paese scoraggia gli investimenti delle imprese italiane ed estere che, consapevoli dei “rischi”, tendono a non partecipare alle gare di appalto che considerano truccate. Per non parlare dello sperpero delle risorse pubbliche – che vengono “dirottare” altrove – che determina un’incontrollata crescita della spesa pubblica.
E a conforto di quanto fin qui detto, ci sono i risultati di uno studio condotto dalla Commissione europea secondo il quale l’impatto della corruzione sulle grandi opere realizzate in Italia è pari al 40% del valore complessivo dell’appalto. Come dire che su cento euro di soldi pubblici, 40 si perdono tra le “mazzette” consegnate a chi non ha altro interesse se non quello personale. Potrebbe essere un esempio la tanto chiacchierata Tav che, se in Italia ha un costo medio di 61 milioni di euro a chilometro, in Francia costa, invece, 10,2 milioni e in Spagna “appena” 9,8 milioni di euro.
Il più che compromesso quadro italiano non può che disincentivare l’arrivo di investimenti dall’estero. Come dimostrato da uno studio di Trasparency International (l’organizzazione internazionale impegnata a misurare il tasso di “trasparenza” dei vari Paesi) secondo cui, nel 2013, il Bel Paese è riuscito ad attrarre solo l’1,6% degli investitori stranieri, contro il 2,8% della Spagna (che pure “vanta” un tasso di corruzione importante), il 3,1% della Germania, il 4,8% della Francia e il 5,8% del Regno Unito.