Immigrazione: quando i clandestini eravamo noi

Nel 1942 il Ministero dell’Interno rumeno tentò di porre fine al flusso migratorio degli italiani in cerca di fortuna, verso la capitale Bucarest.

Lavorando come operai, falegnami, minatori, gli emigranti entravano nel Paese con un regolare permesso di soggiorno, ma alla scadenza restavano in Romania come clandestini.

A metà del ‘900 i rumeni controllavano le dogane assicurandosi che gli italiani, spesso facinorosi e recalcitranti, non penetrassero nei loro territori e il nostro Governo – per non suscitare l’ostilità dell’amico dittatore Ion Antonescu -, per tramite del Ministero dell’Interno, il 28 Agosto 1942 inviò una missiva ai questori del Regno, al ministero degli Affari Esteri, al Governo della Dalmazia, alla direzione di polizia di Zara e all’alto commissario di Lubiana, sollecitandoli a scongiurare l’espatrio dei nostri connazionali in territorio romeno.

Il documento recitava: “Stante il crescente afflusso di connazionali in Romania si dispone che le richieste di espatrio colà vengano vagliate con particolare severità per quanto riguarda in special modo la condotta morale o politica degli interessati ed i motivi addotti, inoltrando a questo Ministero, Ufficio Passaporti, soltanto quelle che rivestano carattere di assoluta e inderogabile necessità”

Non solo in Romania ma, in special modo in Francia e Corsica, tra il 1925 ed il 1973, gli italiani entravano con un visto, ma vi restavano clandestinamente oltre la scadenza.

Oltreoceano invece ci arrivavano, non di rado in accordo con i “landowners” locali, con passaporti falsi: una volta giunti in America venivano impiegati in lavori estenuanti, senza percepire salario, affinché ripagassero il transito fino al “Nuovo Mondo“.

Mutatis mutandis, la storia dovrebbe insegnarci che alla stregua dei rumeni (ma non esclusivamente), che si trovano nella nostra nazione, gli italiani all’estero sono stati altrettanto sgraditi, guardati con sospetto e sfruttati sul lavoro.