Cesare Lombroso: fautore del razzismo scientifico o prosecutore della teoria evoluzionistica?

Cesare Lombmuseo-lombrosoroso, ovvero Marco Ezechia Lombroso – nato a Verona nel 1835 da una abbiente famiglia ebrea -, fu un medico studioso di fisiognomica e frenologia, considerato il fondatore dell’antropologia criminale.

Riallacciandosi alla dottrina del britannico Francis Galton, secondo cui la criminalità è innata e biologicamente condizionata, Lombroso studiò il comportamento criminale partendo dall’assunto che si è criminali per nascita e familiarità.

Egli ritenne altresì che la predisposizione alla delinquenza fosse insita nelle caratteristiche anatomiche del soggetto e determinata (ma solo in parte), da fattori geografici e ambientali.

In realtà la scienza moderna ha dimostrato come ambiente e genetica influiscano sull’aspetto fisico, ma non sul comportamento, pertanto la dottrina lombrosiana è attualmente considerata pseudoscientifica e priva di fondamento.

Dopo gli studi universitari Lombroso divenne direttore del manicomio di Pesaro, dove elaborò una proposta che sottoponeva ai ministeri la creazione di manicomi criminali destinati agli “alienati che delinquono” e agli “alienati pericolosi”.

In seguito rientrò a Pavia, dove aveva compiuto gli studi accademici, dando inizio agli studi che avrebbero condotto alla elaborazione della “teoria dell’uomo delinquente”.

Il primo caso che si trovò ad esaminare fu quello del ladro e brigante Giuseppe Villella, settantenne calabrese, morto di tifo e diarrea scorbutica nel 1864.

Durante l’autopsia del corpo del Villella che, contrariamente a quanto egli stesso sosteneva non fu da lui eseguita, Lombroso scoprì che l’uomo aveva una fossetta cerebellare (oggi chiamata “fossetta di Lombroso”), a tre lobi e non due, teorizzando che questa anomalia cranica fosse tipica degli individui non evoluti sicché inclini a delinquere.

Basandosi su analisi frenologiche Lombroso misurò la forma e la dimensione del cranio di molti briganti assassinati e trasportati dal Sud Italia in Piemonte, concludendo che i tratti atavici dei meridionali li riportavano indietro all’uomo primitivo, forse alludendo allo stereotipo in voga a quei tempi del meridionale “inferiore” e poco evoluto rispetto alle popolazioni del nord, che invece rappresentavano il compimento della evoluzione umana.

E giacché Lombroso prediligeva effettuare analisi su briganti provenienti in particolare dalla zona del Catanzarese, nella prima metà del XX secolo le sue conclusioni vennero strumentalizzate dagli studiosi di eugenetica e fu accusato di fomentare teorie proto-razziste.

Forse gli studi del medico, che ripercorrevano le teorie darwiniane e positiviste, andavano interpretati in chiave evoluzionistica nel senso della scienza delle razze umane, ovvero della cosiddetta “antropologia razziale”.

Ad ogni modo nel 1876 Lombroso fondò a Torino il Museo di antropologia criminale, che oggi raccoglie reperti, armi, maschere mortuarie e migliaia di resti anatomici provenienti da ogni dove, appartenuti a criminali vissuti principalmente nell’Ottocento, che furono oggetto di studio del discusso personaggio.

Nel 2013 nell’ambito del programma del Movimento 5 Stelle fu inserita l’immediata chiusura del Museo Lombroso e la restituzione dei corpi di meridionali “oscenamente ancora esposti come trofei di guerra a dimostrazione dell’ inferiorità genetica delle popolazioni del Sud Italia”.