Un gruppo di ricercatori della Facoltà di Medicina dell’Università Federico II di Napoli – in collaborazione con il Centro di Ricerca in Neuroscienze e sistemi cognitivi di Rovereto e con l’Università di Bari -, ha compiuto una scoperta che potrebbe cambiare radicalmente la vita delle persone affette da schizofrenia, che nel mondo oggi colpisce 1 persona ogni 100 e conta in Italia circa 500mila pazienti.
Gli scienziati del Ceinge (Centro di Ricerca di Ingegneria Genetica di Napoli), hanno aperto una possibile “nuova strada” verso il perfezionamento della terapia farmacologica per la cura della schizofrenia.
Secondo i risultati della ricerca un aminoacido, il D-Aspartato, interverrebbe a favore della modulazione dei processi biochimici che coinvolgono il comportamento di alcuni neuroni.
“Questo D-aminoacido – spiega uno dei ricercatori, Alessandro Usiello -, ha la capacità di potenziare l’attività di una particolare classe di antenne molecolari, i recettori NMDA, che risultano essere ipofunzionali nei pazienti affetti da schizofrenia già a partire dalle prime fasi dello sviluppo embrionale, contribuendo a determinare le alterazioni patofisiologiche responsabili dell’insorgenza dei sintomi psicotici”.
Alessandro Gozzi, ricercatore dell’Istituto Italiano di Tecnologia presso il Centro di Ricerca in Neuroscienze e sistemi cognitivi di Rovereto, aggiunge: “è stato provato che alti livelli di D-Aspartato sono in grado di attenuare le alterazioni cerebrali indotte da sostanze psicotrope come la fenciclidina, nota anche come “polvere d’angelo”.
Il fondatore e presidente del Ceinge, il biochimico Franco Salvatore, ha documentato inoltre l’esistenza di alterazioni nei livelli dell’RNA sotteso alla biosintesi dell’enzima che degrada il D-aspartato nel cervello dei soggetti affetti da schizofrenia. L’aumento dei livelli di questo enzima, la D-Aspartato ossidasi, in sostanza potrebbe essere la causa della riduzione dei livelli di D-Aspartato nel cervello dei pazienti schizofrenici.
Francesco Errico, ricercatore di biochimica clinica e biologia molecolare clinica alla Federico II di Napoli, chiarisce: “Si tratta di una serie di nuove scoperte potenzialmente di grande importanza per la terapia farmacologica, perché a distanza di più di sessant’anni dall’introduzione in terapia del primo farmaco antipsicotico, persiste ancora una sostanziale mancanza di farmaci innovativi in particolare per alcuni dei sintomi più gravi della schizofrenia come l’appiattimento affettivo, l’apatia e i deficit cognitivi e l’esigenza di nuovi approcci farmacologici è tanto più rilevante se si pensa che circa il 30% dei pazienti affetti da schizofrenia non risponde ai comuni trattamenti”.
I risultati dello studio, finanziato dall’americana Brain & Behavior Research Foundation (NARSAD), dal Ministero della Salute e dal Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Translational Psychiatry”, del prestigioso gruppo editoriale di Nature Publishing Group, segnando un punto a favore dell’Italia nella ricerca medica.