In un Paese come il nostro in cui – complice la crisi – tentare la sorte in tabaccheria è diventato uno sport nazionale, monitorare il fascino che il gioco d’azzardo esercita sui più giovani può essere importante. A farlo è stato Nomisma che, in collaborazione con l’Università di Bologna, ha interpellato 14 mila ragazzi di età compresa tra i 14 e i 19 anni.
Ma partiamo dall’inizio: il gioco d’azzardo legalizzato è un business importante per lo Stato italiano. Stando ai calcoli di Nomisma, nel solo 2014, 24 milioni di italiani hanno sfidato almeno una volta la sorte comprando un “gratta e vinci” o facendo delle scommesse. Spendendo in totale qualcosa come 84,5 miliardi di euro, lo 0,3% in meno rispetto al 2013 ma il 100% in più rispetto al 2007. Di questi, 67 miliardi di euro sono ritornati ai giocatori sotto forma di vincite e 17,5 miliardi sono stati, invece, incassati dallo Stato, con un peso sul Pil pari all’1,1%.
Il fenomeno, insomma, non è affatto marginale. E non risparmia nessuno, neanche i giovani. Anzi: stando al monitoraggio di Nomisma e dell’università di Bologna, il 54% degli studenti intervistati (pari a 1,3 milioni di unità) ha tentato almeno una volta la fortuna e il 74% di loro ha dichiarato di spendere poco meno di 3 euro a settimana per il gioco d’azzardo autorizzato dallo Stato.
Ancora: il 30% del campione ha detto di essersi accostato al gioco per curiosità, il 23% per puro caso e il 14% per emulazione (ossia perché un gruppo di amici già giocava). A “sbancare” (anche) tra i giovanissimi è il “gratta e vinci”, che ha ottenuto il 38% dei consensi, seguito dalle scommesse sportive (25%) e dai giochi di abilità online (20%). E veniamo alla frequenza con cui gli studenti coinvolti nell’indagine hanno giocato. Stando ai calcoli di Nomisma, il 10% lo ha fatto con una sistematicità preoccupante (una o più volte a settimana), il 9% una volta al mese, mentre la restante quota (pari all’89%) ha fortunatamente giocato più raramente.
Quanto all’identikit del giovane giocatore d’azzardo, nel 63% dei casi è di sesso maschile e nel 64% dei casi vive al Sud. Di più: il 61% del campione attenzionato ha già compiuto 18 anni e frequenta quasi sempre istituti tecnici (60%) o professionali (59%). E non bisogna trascurare il fatto che chi gioca sin da giovanissimo lo fa perché spesso – nel 65% dei casi – lo fanno mamma o papà (o comunque qualche membro della famiglia). E tra i più “incalliti” ci sono coloro che non eccellono in matematica: il 68% dei giocatori under 20 non è, infatti, riuscito a rimediare un 6 in pagella.
Ma il focus di Nomisma e dei ricercatori dell’università di Bologna è andato oltre: sulla scorta di un indicatore internazionale, è emerso infatti che il 6% degli studenti italiani ha un approccio problematico al gioco che si manifesta attraverso disagi psico-emotivi e relazionali. Di contro, il 38% si pone in maniera positiva nei confronti del gioco al quale sembra attribuire il giusto peso nella sua dimensione sociale ed emotiva.