Si chiama “Cogito ergo sum” l’ultimo minidossier di OpenPolis dedicato alla galassia dei think tank italiani. Ovvero ai “pensatoi” che, con sempre maggiore frequenza, svolgono un ruolo importante nel contesto politico e sociale del Paese, proponendosi come entità para-partitiche capaci di intercettare finanziamenti e affiliazioni.
Ma quanti sono e cosa fanno esattamente? OpenPolis ne ha contati 65, 58 dei quali (pari all’89,23% del totale) organizzano convegni e seminari e 39 (corrispondenti al 60%) promuovono attività editoriali. Un mondo dai confini in continua espansione, se è vero – come viene evidenziato nel minidossier – che le persone coinvolte, a vario titolo, nella reggenza di questi “pensatoi” sono oltre 1.540.
Persone non qualunque, sia chiaro. La ricognizione di OpenPolis ha, infatti, certificato che il 36,15% dei membri dei think tank nostrani proviene dal mondo della politica, il 35,95% da quello accademico, mentre l’11% vanta una carriera imprenditoriale di lungo corso.
E non si creda che questi “pensatoi” siano sconnessi tra loro. Anzi: l’80% ruota intorno a quattro “stelle polari”: Italiani Europei (la fondazione presieduta dall’ex premier Massimo D’Alema), Astrid (retta dall’ex presidente della Cassa Depositi e Prestiti, Franco Bassanini), Fondazione Italia Usa (che fa capo all’ex senatrice Barbara Contini) e Aspen (che vanta, nel suo board, l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti e l’ex premier Giuliano Amato).
Quanto agli orientamenti politici: 20 “pensatoi” su 65 sono ascrivibili all’area di centrosinistra, 16 a quella di centrodestra e 9 a quella di centro. Ancora: 7 sono, invece, i think tank spostati a sinistra, 4 quelli spostati a destra e 9 quelli bipartisan (che non tradiscono cioè nessuna particolare predilezione per i partiti che siedono in Parlamento). A livello geografico, è il Lazio a detenere il primato, con ben 40 think tank all’attivo, seguito dalla Lombardia, che ne ospita 12, e dal Piemonte e dalla Campania, che ne contano 4 ciascuno.
E veniamo all’aspetto meno lusinghiero, quello che certifica la scarsa attenzione che i “pensatori” di casa nostra destinano alla trasparenza. L’indagine di OpenPolis ha, infatti, dimostrato che solo pochissimi si preoccupano di diffondere informazioni sul loro funzionamento interno. Nello specifico: 4 (pari al 6,15% del totale) hanno reso pubblico l’elenco dei soci sostenitori, solo 1 ha diffuso l’elenco (seppure parziale) dei finanziamenti e 5 (pari al 7,69% del totale) hanno rotto il silenzio sui loro bilanci.