Da ex segretario del partito ed esponente di punta della cosiddetta minoranza, Pier Luigi Bersani non le ha mandate a dire a Matteo Renzi. In un’intervista rilasciata ieri alla rivista di politica Pandora, pur non menzionando mai il premier-segretario, Bersani ha infatti recapitato messaggi inequivocabili al suo successore rimarcando l’esigenza di tornare a un’impostazione più “collettiva” della politica.
“La crisi del Partito democratico cammina su due gambe. Isolamento e inconsistenza, due facce della stessa medaglia”, ha subito affondato Bersani. Che ha aggiunto: “Serve una battaglia politica e bisogna ricomporre un dialogo con le parti sociali“. Di più: “Non essendo più il partito un luogo in cui si discute, fioriscono associazioni e simili – ha fatto notare l’ex segretario del Pd – E’ fortissima l’esigenza di guardarsi in faccia e parlare. Non dico che si sia tornati alle caverne, ma insomma…”. A ispirare i severi giudizi dell’ex segretario sembrano essere le tante porte che Matteo Renzi ha chiuso in faccia ai sindacati. O alla stessa minoranza del partito con la quale il premier pare fatichi a intavolare un confronto sereno e costruttivo. A differenza di quanto avviene con altre forze politiche completamente estranee al Pd come il nuovo Ala di Denis Verdini.
“E’ necessario condurre una battaglia politica nei partiti – ha insistito Bersani – in cui i gruppi dirigenti devono preoccuparsi di affrontare una discussione larga e partecipata sul tema del partito stesso. Su come, cioè, i partiti si organizzano e trovano una funzione politica chiara e definita nella società italiana”. “Lo sforzo titanico del Pd, ai miei occhi – ha aggiunto – doveva e deve tutt’ora essere quello di ribadire l’esigenza di un collettivo radicato, di una comunità politica con un suo profilo, le sue aree sociali di riferimento e produrre leadership attraverso la selezione del collettivo stesso”. Un no convinto alla politica della personalizzazione che, in tempi di “renzismo” imperante (seguiti a quelli di un ancora più radicato “berlusconismo”) dovrebbe tradursi in una vera e propria “rivoluzione copernicana”.