Il 20 novembre del 1975 uscì nelle sale americane un film destinato a passare alla storia della cinematografia mondiale. Un film che per la prima volta si aggiudicò tutti e 5 i maggiori Oscar (miglior film, miglior regista, miglior attore, miglior attrice e migliore sceneggiatura non originale) e che avrebbe incassato oltre 112 milioni di dollari. Qualcuno volò sul nido del cuculo non è semplicemente un film sulla pazzia e sul bisogno di controllarla all’interno della società, ma è un film che parla di individualità negate e di meccanismi istituzionalizzati di repressione dell’anomalia sociale, che spazia su temi che vanno dalla violenza sessuale sui minori alla malattia mentale, dalla contestazione al bisogno d’espressione del sé. Un film che divise da subito la critica, ma che è poi riuscito a guadagnarsi un posto ai piani alti di tutte le classifiche stilate dalle riviste di mezzo mondo per sancire le migliori opere cinematografiche realizzate nel corso del secolo scorso. Un film crudo e toccante, che smuove le coscienze pur senza istigare direttamente all’azione.
Quando Kirk Douglas, conquistato dal libro di Ken Kesey, decise di acquistarne i diritti per farne un film, tenne per sé il privilegio di interpretare la parte del protagonista Randle Patrick Mc Murphy. Fu il figlio Michael, subentrato al padre nella produzione, che lo ritenne troppo vecchio per un ruolo simile. La scelta cadde dunque su Jack Nicolson, dopo aver scartato attori del calibro di Marlon Brando e Gene Hackmann. Altra curiosità legata alla pellicola: Louise Fletcher, l’attrice che impersonò l’autoritaria e burbera infermiera Mildred, in realtà accettò la parte appena una settimana prima dell’inizio delle riprese. Volti più o meno noti a quel tempo, come un giovanissimo Danny De Vito, un esordiente Cristopher Lloyd, e il “Grande Capo” Bromden (che era in realtà il guardia boschi Will Sampson) fecero di questa pellicola un prodotto delicatissimo e indimenticabile, una commedia drammatica capace di far affiorare fra le sequenze dei fotogrammi un’umanità ostracizzata, vilipesa, pregiudicata e mai compresa. Milos Forman riuscì nell’impresa di narrare al grande pubblico un mondo che spaventa perché impossibile da normalizzare, mosso da impulsi che impressionano perché presenti al fondo di tutte le nostre personalità “pacificate”. A quarant’anni dall’uscita nelle sale, forse, film del genere non cessano mai di essere attuali.