Uno studio condotto da un gruppo di ricercatori italiani con a capo Claudia Lunghi – ricercatrice al Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia dell’Università di Pisa -, pubblicato sulla rivista Current Biology, rivela che l’attività fisica, oltre a fare bene al corpo (e allo spirito), rende più elastico il cervello, aumentando la plasticità dei neuroni e potenziando le capacità di apprendimento e la memoria.
Inoltre i rilevamenti del gruppo di ricercatori attestano che la ginnastica ha effetti terapeutici anche in caso di traumi cerebrali o deficit visivi, in particolare in età adulta quando la flessibilità cerebrale è inferiore.
”Questo studio fornisce la prima dimostrazione che moderati livelli di attività fisica potenziano la neuroplasticità della corteccia visiva in individui adulti”, ha affermato Lunghi. “I nostri risultati aprono la strada allo sviluppo di strategie terapeutiche non invasive che sfruttino l’intrinseca plasticità del cervello adulto“.
Per giungere a tali conclusioni i ricercatori hanno sottoposto 20 individui adulti al classico approccio terapeutico impiegato nei bambini affetti da ambliopia (il cosiddetto occhio pigro), ovvero quando uno dei due occhi è più forte dell’altro che, di conseguenza, tende ad impigrirsi costringendo l’occhio più forte a svolgere tutto il lavoro visivo.
In sostanza gli studiosi hanno bendato un occhio ai partecipanti durante la visione di un film. In un primo momento i volontari, ogni dieci minuti, hanno dovuto esercitarsi alla cyclette. Gli stessi poi sono stati fatti sedere comodamente in poltrona ed hanno proseguito a guardare il film.
Ebbene dopo la visione del film gli esperti, valutando la plasticità della corteccia visiva dei volontari con un test specifico che si chiama ‘rivalità binoculare’, hanno riscontrato che quando questi, durante la visione del film, pedalavano sulla cyclette con l’occhio bendato, la loro plasticità corticale tendeva a potenziarsi rispetto a quando guardavano il film seduti in poltrona.
Gli esiti dello studio sono oltremodo importanti soprattutto se si considera che questi possano aprire la strada a nuove terapie per trattare traumi cerebrali e deficit della vista.
di Michela De Minico