E’ stato pubblicato oggi il Corruption Perception Index del 2015, il nuovo rapporto che Transparency International rende noto ogni anno e nel quale vengono analizzati i tassi di corruzione percepiti da uomini d’affari ed esperti del settore pubblico. Si tratta di una tematica, oltre che di estremo interesse, di difficilissima misurazione, non essendo di fatto possibile fare riferimento a un dato certo ed avendo, ogni paese, una differente legislazione in materia.
L’Italia è risultata al 61esimo posto mondiale su 168 paesi analizzati, con 44 punti su 100. Rispetto all’edizione 2014 abbiamo guadagnato ben otto posizioni ma solo un punto in più, motivo per il quale c’è da supporre che l’avanzamento italiano sia più frutto dei pessimi risultati altrui che dei nostri buoni propositi. Il podio è tutto nord-europeo, con la Danimarca in vetta a quota 91 punti su 100, seguita da Finlandia (90 punti) e Svezia. Nella parte bassa della classifica troviamo Corea del Nord e Somalia. Male anche Spagna, Turchia, Brasile e Australia, tutte scivolate verso il fondo. Se si considera il triennio 2012-2015 la Grecia è stata l’unica nazione a fare considerevoli progressi.
L’indice si sviluppa attorno ad un’aggregazione di informazioni che vengono fornite da differenti fonti ed istituzioni. Il numero minimo di fonti richiesto per entrare nell’indice è 3 (l’Italia ne ha ben sette). Acquisiti i dati, questi vengono poi “spalmati” su di una scala che va da 0 a 100, dove 0 indica il livello più alto di corruzione percepita e 0 il più basso. Visto nel suo complesso l’Indice non offre un quadro rassicurante della situazione mondiale: la media globale è infatti di 43 punti, sette punti in meno rispetto a quei 50 che Trasparency International ritiene la soglia minima sotto la quale esiste “un serio problema di corruzione”.
Giuseppe Caretta