Prima, il decreto Cirinnà. Quindi, la scelta di Vendola di affidarsi (d’accordo col proprio compagno) all’utero in affitto e di pubblicizzare la propria scelta (in un momento forse non troppo opportuno).
La logica conseguenza è che si sia scatenato un notevole vespaio, tra chi ha optato per prese di posizione a favore della scelta del leader di Sel, chi ha mosso critiche razionali e ben argomentate e chi ancora (troppi, come sempre) ha optato per i classici barbari commenti da web (con buona pace, ancora una volta, del filosofo Levy e di tutti i suoi predecessori).
Dal canto nostro, soprassedendo sulla valutazione etica legata al concetto di maternità surrogata (e lasciando ad ognuno la libertà di pensarla come preferisce), abbiamo deciso di fare – non siamo i primi, non saremo gli ultimi – una rapida ricerca sul web per capire meglio quali sono le realtà che offrono la possibilità di avvalersi del servizio dell’utero in affitto.
Facciamo quindi una ricerca su Google con la parola ‘Surrogacy‘ (termine inglese che designa la maternità surrogata).
Oltrepassati i risultati legati agli annunci a pagamento (nemmeno stessimo cercando Nike o Ray Ban), prendiamo alcuni dei risultati e cerchiamo di trarre un comune denominatore (le varie realtà sono tutte linkate, potrete farvi una idea che prescinda dalla analisi proposta): qual è?
Prendiamo in analisi quindi immagini, video e frasi proposte.
Le immagini rappresentano per lo più bambini e genitori felici: i genitori felici sono tanto eterosessuali quanto omosessuali (c’è in questo una banalizzazione della genitorialità, che non è solo fatta di gioie. Una banalizzazione à la Mulino Bianco, per intenderci) e i bambini sono rappresentati in varie fasi della loro crescita (tanto in fasce quanto più cresciuti). Il risultato finale è abbondantemente rappresentato.
I video hanno questo plot: famiglie – etero e omo – e singoli – uomini e donne – parlano della propria esperienza. Delle problematiche a monte che li hanno portati ad optare per la maternità surrogata (è facile, quindi, identificarsi coi protagonisti) e di quelli che erano dubbi e perplessità (un po’ come con le diete miracolose, dove ex sovrappeso parlano delle proprie titubanze: sarei davvero diventato magro?).
Oltre ad evidenziare l’ovvia necessità di una selezione delle figure che verranno coinvolte nel processo (tanto i genitori – solo il 10% viene accettato nel processo – quanto chi affitta l’utero: si tratta pur sempre di un processo emotivamente coinvolgente), le frasi puntano ad attrarre i clienti / genitori – d’altra parte è necessario, in un regime di libero mercato.
Non mancano tagline (al posto di ‘Just Do It’, qualcuno ha pensato di proporre ‘We Deliver. Family Dreams Since 1996’) e, in assoluto, veri e propri motti. Una particolare attenzione (in alcuni siti), viene posta ai possibili utenti internazionali, con tanto di organizzazione di viaggi (la mente va in qualche maniera ai viaggi verso l’est per i trapianti di capelli o per farsi operare dentisti low cost. Di low cost, in questo caso, c’è ben poco dato che vengono offerti anche personal shopper e autisti).
Cosa emerge, alla fine, dando un’occhiata a questi siti che offrono l’utero in affitto? Un carattere fortemente commerciale: le realtà di cui abbiamo parlato, d’altra parte, rappresentano LLC). Impensabile non venga trattato come un business.
RDV