
Una scoperta che ha dell’incredibile, quella riportata pochi giorni fa dall’Huffington Post. Uno studio condotto dall’APOPO, organizzazione non governativa belga, ha infatti svelato che i ratti addestrati a scovare mine inesplose col loro fiuto si sarebbero rivelati straordinariamente abili anche nel diagnosticare i batteri della tubercolosi presenti nella saliva di pazienti infetti. Il senso dell’olfatto di questi animali infatti consente loro di identificare il ceppo del virus con una precisione pari quasi al 100%, e potrebbe rivelarsi prezioso anche per sconfiggere malattie come l’AIDS e l’HIV.
Ratti addestrati per diagnosticare e debellare la TB in Tanzania e Mozambico
L’APOPO già da tempo utilizzava dei ratti giganti africani appositamente addestrati per individuare mine inesplose nascoste sottoterra nei territori della Tanzania e del Mozambico. Ma alla luce di questa clamorosa scoperta, l’organizzazione si pone davanti un altro ambizioso obiettivo; utilizzare i ratti per dei veri e propri screening delle aree più colpite dal virus della tubercolosi, a partire dalle carceri, per poi estendere il raggio d’azione anche a baraccopoli, slums e fabbriche.
“Siamo convinti che la nostra TB Rat Detection sia una tecnologia unica, che saprà dimostrarsi un efficace e pratico strumento di screening di massa“, ha dichiarato ai microfoni il direttore dell’APOPO, Charlie Richter. “Dopo i centri abitati più a rischio in Tanzania e Mozambico, contiamo di espandere il programma anche ad altre aree affette dalla piaga della TB, o a a categorie ad alto rischio come le persone che convivono con l’AIDS o l’HIV. Questo progetto ci consentirà di salvare vite umane in tutto il mondo, e a costi tendenzialmente irrisori.”
Ii ratti giganti africani utilizzati dall’organizzazione vengono sottoposti a un addestramento intensivo fin dall’età di quattro settimane, non appena cioè i neonati aprono gli occhi. Ai giovan esemplari viene insegnato a riconoscere il ceppo della TB in campioni di saliva o di muco, in cambio di un premio ogni volta che i campioni infetti vengono correttamente identificati.
Secondo le statistiche dell’APOPO, un ratto gigante africano impiegherebbe solo tre minuti a identificare la presenza del virus della TB in dieci campioni organici alla volta. Gli scienziati dell’APOPO riferiscono inoltre che il livello di precisione con cui questi animali riconoscono il virus si aggira intorno a stime da capogiro, pari addirittura al 100%. I ratti non sarebbero però in grado di distinguere il ceppo di tubercolosi “normale” da quello resistente ai farmaci.
Attualmente l’APOPO ha passato al vaglio dei suoi ratti addestrati ben 340.000 campioni di TB, riuscendo a spegnere sul nascere 36.000 focolai. Un tecnico di laboratorio, afferma l’organizzazione, impiega normalmente dai quattro ai cinque giorni per identificare il virus della TB; un ratto addestrato può esaminare fino a 100 campioni diversi in 20 minuti, al costo di soli 20 centesimi di dollaro.
E per condurre i suoi studi sul monitoraggio e il debellamento della tubercolosi nelle aree più colpite della Tanzania e del Mozambico, l’organizzazione belga ha ottenuto addirittura il beneplacito e un sostanzioso finanziamente da parte della Banca Mondiale.
La tubercolosi in Tanzania e Mozambico
Dopo il virus dell’HIV, la tubercolosi è la seconda causa di morte per malattia infettiva in tutto il mondo. L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, riferisce che i nuovi casi sarebbero mediamente nove milioni l’anno, con quasi due milioni di vittime accertate.
Sopratutto nelle aree più affette dalla tubercolosi in Tanzania e in Mozambico, come le prigioni o le aree dimesse, monitorare la diffusione del virus è una necessità sentita ma per molti aspetti insostenibile, sia per i costi troppo elevati sia per una generale mancanza di sensibilizzazione al problema. Secondo le stime ufficiali, il numero dei casi di TB che non vengono diagnosticati per tempo è drammaticamente alto.
Uno studio effettuato dal Centro Statutinense per il Controllo e la Prevensione all’interno delle carceri della Costa d’Avorio, della Tanzania e di Malawi rivela inoltre che proprio fra i detenuti il rischio di contrarre la tubercolosi anche in forme particolarmente aggressive sarebbe fino a 10 volte più alto che fra il resto della popolazione, per una serie di cause che vanno dalle norme igieniche carenti alla stretta prossimità in cui vivono i carcerati.
Con l’ausilio dei ratti giganti addestrati dell’APOPO potrebbe essere molto più facile, rapido ed economico identificare i pazienti affetti dal virus, per poi procedere a ulteriori accertamenti e isolare gradualmente i focolai. Una speranza che fa sicuramente ben pensare.
Cristina Pezzica