In un Paese dilaniato dalla guerra civile, quella di indire delle elezioni appare ovviamente una provocazione di pessimo gusto. Soprattutto se in ballo ci sono delle delicatissime trattative per raggiungere un accordo di pace dopo 7 anni di conflitto armato.
Ma questo è esattamente ciò che sta accadendo in Siria dove, dalle 6 di stamane (ora italiana), si vota per eleggere i 250 membri del parlamento scegliendo tra i 3.500 candidati rimasti in corsa sulle 7.000 candidature iniziali approvate. Dodici ore di esercizio democratico che la comunità internazionale taccia di propaganda e di provocazione, mentre dovrebbe riprendere a breve il terzo incontro per trovare una exit strategy per il pantano siriano nel quale il presidente Assad appare immischiato. Proprio lui, questa mattina, si è presentato al seggio per apporre la sua scheda nell’urna. Le provincie sotto il suo controllo sono le uniche nelle quali si possa procedere alla votazione, e per questo ne restano escluse sia quella di Raqqa che quella di Idlib, controllate rispettivamente dall’Isis e dai qaedisti di Al Nusra. Chiaramente la Russia appoggia questa nuova iniziativa presidenziale, mentre dal fronte opposto, in Turchia, proprio stamattina si è verificato uno scambio di granate fra i due paesi. La città turca di Kilis è stata colpita da colpi partiti da oltre confine. Nessun ferito, fortunatamente, ma l’artiglieria turca ha risposto immediatamente al fuoco, e anche quest’altro episodio ha contribuito a gettare, su queste nuove elezioni siriane, una luce ancora più grottesca.
Giuseppe Caretta