Omicidio Fortuna, la famiglia: “Adesso riesumate anche il piccolo Antonio”

C’è un certo clamore mediatico che sta investendo in queste ore la vicenda della piccola Fortuna Loffredo, la bimba di sei anni abusata da un uomo, del quale ancora non si è certi di conoscere l’identità, e poi gettata dal balcone del settimo piano del palazzo in cui viveva.

Un clamore che si nutre di frasi ad effetto e roboanti prese di posizione del momento. Tutti ad esprimere lo sdegno, più che giusto, più che comprensibile, per una vicenda che di ora in ora si arricchisce di dettagli raccapriccianti. Eppure ci si domanda dove fosse tutto questo trasporto quando la piccola Fortuna fu trovata riversa sul selciato. Dove si trovavano i giustizieri di queste ore quando Antonio Giglio, 3 anni, fu ritrovato anch’esso privo di vita sul marciapiede dove, due anni dopo, venne trovata anche Fortuna Loffredo. C’è chi ha tutto il diritto di parlare, e sono i genitori di queste vittime innocenti, e chi ha il dovere di parlare, e sono coloro che sanno, sapevano, ed hanno taciuto una verità che solo oggi, aiutata dalle testimonianze dei bambini di quei palazzi, stanno lentamente mettendo in piazza le brutture e gli abusi di un mondo degli adulti ben più torbido di quanto normalmente si sia disposti a riconoscere.

E così la famiglia di Fortuna ha chiesto oggi, per tramite del suo avvocato, che venga riesumato il corpo del piccolo Antonio Giglio affinché si faccia chiarezza e si accerti se la rete di pedofili nella quale con ogni probabilità è incappata la loro bambina, avesse colpito anche un bambino di appena tre anni. Anche l’avvocato della famiglia, Angelo Pisani, ha preso posizione in una vicenda in cui, con ogni probabilità, ruolo professionale e coinvolgimento emotivo si 80445_20140704_73481_fo2mischiano: “Non immaginavo potesse esistere tale interno dei bambini- ha detto- e che esistessero tanti mostri nemici dell’infanzia così vicino a dove viviamo. Ma questa volta ho visto e sentito troppa violenza e troppi orrori, purtroppo la sentenza arriverà tra tanti anni. Ma non voglio tacere su tutto quello che ho sentito, e costringerò lo Stato a guardare e ascoltare.” Trasporto più che comprensibile. Continua ancora l’avvocato: “racconterò tutto in un libro, sperando almeno di poter salvare altre vittime innocenti da destini già scritti e da tanti orchi ancora in giro nel palazzo dell’inferno come in altri lager del genere”: affermazioni che, quantomeno, sollevano il beneficio del dubbio sulla loro disinteressata spontaneità.

Anche il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, si è inserito in questo clamore mediatico di cui sopra, ed ha voluto ricordare a tutti che “chi sa ha il dovere di parlare”. Buone intenzioni, di cui si dice lastricata la strada dell’inferno.

Infine c’è Raimondo Caputo, l’unico volto che per il momento abbia ricevuto il rango ufficiale di bestia. Detenuto nel carcere di Poggioreale dal novembre 2015 con l’accusa di concorso in violenza sessuale su minore (la figlia della sua convivente, e complice, adesso agli arresti domiciliari), che è stato aggredito e picchiato dagli altri detenuti ed ora si trova in regime di isolamento per garantirne l’incolumità. Un mostro, uno dei mostri, sicuramente non l’unico e forse neppure il più cattivo di quelli coinvolti in questa storia. Intanto il suo silenzio pesa tantissimo. Fra tutti quelli che parlano di questa storia gli unici che stanno zitti, come sempre, sono quelli che centrano realmente qualcosa con essa.

Giuseppe Caretta