Continuano le scosse sismiche all’interno del Movimento 5 Stelle dopo l’avviso di garanzia che la magistratura ha consegnato, nella mattinata di ieri, al sindaco pentastellato di Livorno, Filippo Nogarin.
La questione è, più che altro, di carattere squisitamente politico. Con le amministrative in ballo ciò che più pesa, nelle considerazioni del direttorio, è che possa innescarsi un effetto farfalla capace di far slittare all’ultimo secondo una cospicua fetta d’elettori verso altri candidati, da Nord a Sud passando, com’è facile prevedere, per l’ambitissima capitale, dove Di Battista e Virginia Raggi stanno tentando una storica scalata al Campidoglio.
Ed i primi mal di pancia arrivano da una stessa parte del Movimento, nonostante l’appoggio incondizionato al primo cittadino livornese che ieri Beppe Grillo ha espresso pubblicamente: “Per molto meno espulsero il consigliere regionale dell’Emilia Romagna Defranceschi”, ricorda l’ex grillino toscano Massimo Artini. Un’ambiguità che non sfugge a Davide Casaleggio e a Luigi Di Maio, che hanno tracciato una linea di condotta valida per tutti e che prevede, come extrema ratio, le dimissioni concordate con Nogarin nel caso in cui la sua posizione dovesse apparire moralmente, e politicamente, indifendibile. Intanto però, la parola d’ordine è fiducia a tempo: il primo cittadino della città toscana ha l’imperativo categorico di dimostrare la sua totale estraneità ai fatti nel più breve tempo possibile. Perché il rischio è che la pressione mediatica e politica faccia accorciare i tempi di un chiarimento, che la piazza invochi giustizia, che il Movimento, insomma, sia disposto a sacrificare una “mela marcia” per proseguire la sua lenta ascesa verso il governo del Paese. E in quest’ottica, allora, qualche testa da sacrificare bisognerà pur sempre concederla.
Giuseppe Caretta