Riuscite ad immaginare dei robot che provano dolore? Se questo fosse possibile sarebbe un atrocità etica oppure una possibilità di miglioramento delle tecnologie? Difficile immaginare degli esseri composti da circuiti e metalli che provano dolore, eppure non è una possibilità così remota, com’è possibile? Due scienziati tedeschi, Johannes Kuehn e Sami Haddadin, hanno inventato una pelle sintetica contenente un tessuto nervoso in grado di fare percepire ai robot il dolore fisico, di conseguenza l’idea del pericolo e dell’autoconservazione. Questo tessuto permette al robot di percepire tre diversi livelli di dolore, in seguito alla classificazione del tipo di rischio, il robot può prendere delle contromisure adeguate come ad esempio allontanarsi dal rischio oppure chiedere aiuto per risolvere la situazione.
L’idea di base dei due ricercatori si basa sulla percezione del dolore provata dagli esseri umani: ogni essere umano grazie al dolore riesce a salvaguardare se stesso ed accumulare esperienza su ciò che è potenzialmente dannoso per la propria salute, secondo loro, lo stesso processo potrebbe essere applicato anche alle macchine, questo potrebbe portare sia indubbi vantaggi nello sviluppo che una riduzione dei costi di gestione. Non tutti, nella comunità scientifica, sono d’accordo con le conclusioni dei due ricercatori, secondo quanto pubblicato dalla rivista ‘IEEE Spectrum’, i robot sono costruiti appositamente senza la possibilità di sentire dolore di modo che possano essere utilizzati per lavori pericolosi al posto degli esseri umani, inoltre, sempre nel quotidiano si legge che, in un futuro, l’idea che i robot provino dolore potrebbe indurre l’essere umano a sviluppare empatia nei loro confronti.
Lo scenario che si profila è allo stesso tempo esaltante ed inquietante, da un lato il progresso scientifico permette di costruire macchine che sono sempre più simili all’essere umano, sempre più sofisticate ed in grado di migliorare sensibilmente la vita quotidiana, dall’altro l’idea che questo progresso un giorno faccia perdere all’essere umano la propria unicità, che le macchine troppo simili a noi possano un giorno creare rapporti relazionali complessi tra noi e loro, che possano rivendicare una posizione nel mondo, una paura che ha inspirato da sempre le fantasie fantascientifiche ma che per ora rappresenta solo un limite al progresso.
Fabio Scapellato