Duterte, il presidente filippino inneggia agli squadroni della morte: “Già 3.300 omicidi”

E’ sempre più drammatica la situazione nelle filippine, da quando il neo presidente Rodrigo Dutetre è salito al potere poco più di tre mesi fa.

duterte-filippineDopo aver mandato letteralmente a quel paese il presidente americano Barack Obama, dopo aver invitato l’Unione Europea a “fottersi” e a badare agli affari propri, l’altro giorno Duterte è arrivato a paragonarsi ad Hitler: “Hitler ha massacrato tre milioni di ebrei… Ci sono tre milioni di tossicodipendenti da noi, sarei felice di massacrarli”, ha rivendicato con orgoglio. L’unica ammenda l’ha poi fatta sull’errore commesso nel numero delle vittime dell’Olocausto, che non furono tre milioni ma sei. Ad ogni modo quest’uomo è riuscito a mettere su un potente apparato repressivo composto da polizia e vigilantes privati che, in meno di cento giorni, è stato in grado di uccidere 3.300 persone in quella che, a detta di Duterte, è una guerra senza quartiere al narcotraffico.

Per la verità, a cadere nelle retate degli squadroni della morte sono per lo più pesci piccoli, pusher da strada che vengono arrestati, torturati e poi gettati in pasto ai coccodrilli col beneplacito delle forze di sicurezza filippine, che arrestano i malviventi di piccola caratura lasciando spesso e volentieri impuniti i grandi lobbisti della droga. Tossicodipendenti e piccoli spacciatori che vengono letteralmente eliminati dal modello repressivo filippino, come ha raccontato al Senato uno degli esecutori materiali di queste stragi, Edgar Matobato, 57 anni.

In realtà, dietro la politica scellerata e criminale del presidente Duterte, si nasconde una sterzata nei rapporti internazionali che dovrebbe riportare Manila, un tempo molto vicina alle posizioni di Washington tanto da aver avviato con gli Stati Uniti delle missioni d’addestramento congiunte dei propri militari, nell’orbita di Pechino e della Repubblica popolare cinese. Benigno Aquino, predecessore di Duterte, aveva criticato a lungo l’occupazione cinese di Scarboroughm un banco di scogli a 150 miglia dalle coste filippine. Un’espansionismo che aveva portato Manila a chiedere giustizia davanti alla Corte per gli arbitrati internazionali dell’Aia.

Oggi dunque il nuovo corso, con la sua lunga scia di morte e di violazioni dei diritti umani che lo stesso Duterte si è affannato a rivendicare: “Mi chiamate la Squadra della morte? Giusto- ha detto con orgoglio ai giornalisti- è la pura verità”.

Giuseppe Caretta