Nuovo passo in avanti nel lungo cammino verso le elezioni presidenziali americane. Ieri infatti, i due vice dei candidati Hillary Clinton e Donald Trump si sono confrontati in un accesissimo dibattito televisivo. Tim Kaine per il partito democratico e Mike Pence per quello repubblicano hanno dato vita ad un botta e risposta senza esclusione di colpi dal quale ad uscirne vincitore sarebbe stato proprio il secondo di Trump, almeno stando al sondaggio che la Cnn ha reso noto e che darebbe il repubblicano in vantaggio 48% a 42%.
Rinfrancato dai numeri, il magnate newyorkese ha subito elogiato le qualità e le doti del suo secondo: “Mike Pence ha vinto alla grande!” ha infatti twittato The Donald a poche ore dal dibattito. Adesso resta difficile stabilire come e quanto peserà questo confronto nella corsa per la Casa Bianca, ma non è passato inosservato come, proprio l’atteggiamento dei due candidati presidenziali abbia inficiato lo scontro tra i due vice sin dalle prime battute.
Mentre nella sfida tra Hillary e Donald il tycoon aveva da subito impersonato il ruolo del provocatore, interrompendo la rivale, punzecchiandola con battute e perdendo la calma in certi passaggi del dibattito, ieri le parti si sono invertite e Kaine, pur vantando un’esperienza “ad ogni livello di governo”, è apparso il meno compassato fra i due sfidanti.
Poi l’affondo del repubblicano, che ha accusato i democratici di essere i responsabili dell’instabile situazione in medio oriente. Hillary Clinton, “l’architetto della politica estera dell’amministrazione Obama “ha contribuito a guidare una politica estera debole e fallimentare”, ha incalzato ancora Pence mettendo alle corde l’avversario. Poi l’attacco si è spostato sul tema del rapporto con la Russia. Il vice di Trump ha sostenuto che il tandem Obama-Clinton abbia lasciato troppo spazio al Cremlino e che il suo partito è pronto ad attaccare militarmente Mosca in Siria nell’eventualità in cui questa non dovesse accettare un ridimensionamento del proprio ruolo nel paese mediorientale. Una posizione che neppure Trump si era mai assunto la responsabilità di sostenere.
In generale, però, è stata proprio la forza e la veemenza delle posizioni sostenute dal repubblicano, ad aver prevalso nell’impressione generale degli elettori. Ancora una volta il partito della Clinton paga l’etichetta di partito dell’establishment, con l’ex first lady che starà pur sempre “facendo la storia”, come ha chiosato Kaine in un blando tentativo di difesa, ma di certo non convince.
Giuseppe Caretta