“Il carcere sta trasformando Salah Abdeslam in una bestia selvaggia. La sua finestra è chiusa dalla plastica, non entra aria. Vede i familiari attraverso un vetro, non ha contatti fisici con nessuno, al di là dei carcerieri. È degradante. In 25 anni di carriera non ho mai visto una cosa così”. E’ con queste affermazioni che Frank Berton, avvocato dell’unico superstite del commando jihadista che lo scorso 13 novembre gettò Parigi e l’Europa nel panico, denuncia le condizioni di detenzioni del suo assistito.
“Le legge su misura che autorizza la video sorveglianza, anche di notte con telecamere a infrarossi, non era necessaria” ha aggiunto ancora Berton il quale, assieme al suo collega belga Sven Mary, ha annunciato anche l’intenzione di rinunciare all’incarico di difendere il terrorista. “E’ una vera e propria tortura psicologica”, ha commentato Mary in relazioni alle condizioni di detenzione di Abdeslan. anche perchè se “volesse suicidarsi, lo farà”. “Abdeslam – ha aggiunto poi Berton – non era l’organizzatore degli attentati di Parigi”, ma “il potere politico ha scelto di rispondere al populismo trattandolo come se lo fosse” e di conseguenza si comporta con lui come con “un topo in scatola”.
Ma c’è chi non è dello stesso parere. Secondo Samia Maktouf, avvocato di una ventina di vittime degli attentati di Parigi, il mutismo col quale Abdeslam risponde alle indagini “è un atteggiamento vile”, che ha indotto gli stessi legali difensori a rinunciare al compito di difenderlo. L’imputato non ha intenzione di essere difeso da nessuno, almeno in questa fase, cosa che la legge gli da il diritto di scegliere. E’ in fase di processo, invece, che sarà obbligatorio per lui rivolgersi ad un legale. Intanto, può continuare a sopravvivere dietro una cortina di silenzio e solitudine.
Giuseppe Caretta