Sono 39 le vittime conclamate della strage di Capodanno avvenuta al locale notturno Reina di Istanbul, uno dei più famosi in assoluto per accogliere clientela internazionale e solitamente facoltosa. Le storie delle 39 vittime, ad ogni modo, non potrebbero essere più diverse fra di loro. Persone diverse, vite diverse, accomunate da una fine ignobile e senza senso.
Come Fatik Camkak, l’agente di sicurezza che neppure un mese fa era miracolosamente scampato all’attentato compiuto allo stadio Besiktas, che ha causato 38 morti. Lavorava lì quella sera, e si era salvato. Non così al Reina. Lian Zahr Nasser era una 18enne israeliana: arrivata in Turchia per festeggiare il Capodanno con delle amiche. Inizialmente data per dispersa, poi i genitori l’hanno riconosciuta. Una sua amica è rimasta ferita alle gambe.
Hatice Karcilar era una guardia di sicurezza e mamma: 27 anni, svolgeva questo lavoro per mantenere il suo bimbo di 3 anni, rimasto solo al mondo.
Jalal Ahmed Abbas era uno studente universitario iracheno: studiava architettura ad Istanbul. Anche lui è rimasto tragicamente ucciso nell’attentato di Capodanno. Burak Yildiz era un poliziotto, giovanissimo: solo 21 anni, stroncati nel fiore dell’età. Kenan Kutluk, invece, lavorava al Reina: faceva il cameriere. Aveva due figli, rimasti orfani di padre. Ho Mousalle, banchiere, era con la moglie a festeggiare l’ultimo dell’anno. Lei si è salvata. Era libanese, come anche Elias Wardini, rimasto anch’egli ucciso.