Lavoro e sfruttamento, sono soprattutto le donne a subire i danni della politica delle agromafie

 

 

 

 

 

 

 

È il caso che negli ultimi anni, in tal senso, ha sollevato più scalpore: la morte di Paola Clemente. Paola aveva solo 49 anni ed è morta dopo anni ed anni di lavoro portato avanti nei campi. Un lavoro che non è giusto chiamare lavoro: sfruttamento è la parola più adatta da utilizzare. Un’occupazione, quella nei campi, che non le garantiva di vivere serena, che si protraeva anche per più di dieci ore al giorno ed in condizioni assolutamente non sostenibili, e che piano piano l’ha logorata in spirito e corpo. Eppure Paola, come molte altre persone, aveva bisogno di quel lavoro-per lei e per la sua famiglia- e si dava da fare. Per guadagnare venti euro o anche meno al giorno, con un compenso stimato sui due euro per ogni ora di lavoro. A due anni dalla sua morte, sono arrivate sei condanne, ma questo non basta per fermare il mondo dello sfruttamento dei lavoratori nei campi e del business delle agromafie.

Secondo un’indagine riportata dalla testata Today, che ha intervistato l’avvocato Olga Simeoni, è stato stimato che per l’anno 2015 circa 400mila lavoratori (italiani e stranieri insieme) sono stati risucchiati dal gorgo del caporalato. E mentre tutto questo lavoro, nato e svolto in condizioni di schiavitù, genera un fatturato di circa 12, 5 milioni di cui beneficiano le agromafie, sono soprattutto le donne a farne le spese e ad essere sfruttate per portare a casa due lire.

Dello sfruttamento della forza lavoro femminile in agricoltura si è parlato in un convegno organizzato a Roma dall’Agi (Associazione Giuriste Italiane) nel tentativo di creare una rete di tutela che possa far fronte ad un fenomeno che si sta ampiamente strutturando e che invece dovrebbe essere debellato. Proprio per la sua attività rivolta ad arginare il problema, l’avvocato Simeoni ha detto delle parole ben precise ai microfoni di Today.

“I due grandi problemi che gli imprenditori agricoli italiani si trovano ad affrontare sono l’accesso al credito e il costo del lavoro. Questo li porta spesso a rivolgersi all’usura per un ‘credito facilitato’ e a finire tra le mani del caporalato, che assicura manodopera a basso costo e soprattutto ‘garantisce’ che non ci saranno noie legali e rivendicazioni sindacali”, ha detto, tra le altre cose, l’avvocato. La Simeoni non ha dimenticato di citare le realtà buone del nostro Paese, che vanno aiutate e sostenute soprattutto con provvedimenti provenienti dal mondo della politica. Parlarne non basta: bisogna essere più presenti e concreti.

Maria Mento