Un Dario Argento senza filtri, quello che si è confessato in un’intervista con Il Messaggero, nella quale ha parlato delle sue paure, ossessioni e del suo rapporto con la solitudine. Una solitudine vissuta nella soffitta di casa, rivela il regista di Profondo Rosso, quando “a 11 anni mi rifugiavo a leggere Shakespeare o Le mille e una notte al riparo dagli sguardi indiscreti”, ma che lo ha accompagnato nel corso della sua vita; “sono solo adesso, che ne ho quasi 77 e proprio come ieri mi assegno regole che a seconda dell’inclinazione del momento rispetto o trasgredisco”. Il regista ha ripercorso la sua giovinezza in tappe, “l’anno passato tra le coltri, con una serie febbre reumatica, a divorare libri. La mia fuga a Parigi in treno, da quindicenne curioso, senza una lira in tasca. Le notti in tipografia fino alle tre. I primi soldi, pochi, che L’araldo dello spettacolo, la rivista con cui esordii, mi riconobbe dopo un periodo in cui avevo scritto gratis. Il ruoletto da prete che interpretai in Scusi lei è favorevole o contrario? di Alberto Sordi”. Parla del padre Salvatore, partigiano in Jugoslavia e poi produttore, e della madre Elda Luxardo, arrivata con il fratello Elio dal Brasile e “passata rapidamente dalle sfilate alla macchina fotografica”, immortalando Sophia Loren e Gina Lollobrigida. In pochi sanno che Argento iniziò come giornalista, pensando di farne la sua vita: “ero un ragazzino, non avevo famiglia e potevo impegnarmi. Di giorno passavo da un’intervista a un film, poi verso l’ora di cena entravo in redazione, mangiucchiavo una cosa alla mensa e tiravo fino a tardi”. Un giovane interessato a conoscere il mondo, non dominarlo, che dopo aver letto un copione portato a casa dal padre iniziò ad appassionarsi di cinema, iniziando a scrivere, nel tempo libero, qualche sceneggiatura.
Parlando di Sergio Leone e di Bernardo Bertolucci, con i quali scrisse il soggetto di C’era una volta il west, Dario Argento rivela che “era molto simpatico, aperto e coinvolgente. Ti telefonava all’improvviso: Hai visto a questi poveri disgraziati di Firenze che cosa gli è successo?. C’era stata l’alluvione di Firenze, ci mettemmo in macchina e partimmo subito per dare una mano in quel disastro di fango e melma del 66. Leone era generoso e aperto nei confronti dei giovani talenti. Se chiudo gli occhi la sua risata larga e senza freni durante le riunioni posso sentirla ancora”. Bernardo Bertolucci invece, “me lo presentò lui, ci fece incontrare e diventare amici intorno a un tavolo, scrivendo”.
Tante le curiosità che emergono nel corso dell’intervista, come quelle sul suo film d’esordio del 1970, L’uccello dalle piume di cristallo: “Non lo voleva finanziare nessuno. In principio si dissero interessati i Cicogna, poi Italo Zingarelli della West film, l’inventore dei film di Bud Spencer e Terence Hill, un omone che era stato stunt-man, si era reinventato produttore, mi aveva coinvolto in un paio di sceneggiature e che incidentalmente era anche un carissimo amico. Di affidarmi un debutto però non se la sentiva e me lo disse senza giri di parole: Ah Dà, io te vojo bbene, ma sto film non lo vojo fà. A quel punto mi ricordai che avevo buoni rapporti con Goffredo Lombardo della Titanus. Bussai alla sua porta e a lui quel racconto da trasformare in film piacque: Mi convince, lo facciamo. Trovata la distribuzione mi misi in marcia. Allora fare cinema per un ragazzo era molto più facile di oggi”. Molto esigente sul set, Argento cerca in un attore “che mi dia qualcosa di suo, che torni in albergo pensando alla scena del giorno dopo e si presenti sul set con un’idea. Che si confronti e non provi ad imporsi. Che non sia prepotente, perché se la mettiamo sul piano della prepotenza, allora, non foss’altro che per ruolo, vinco sempre io”. E considera la paura “Un sentimento. Un’emozione. La vera paura non è quella che provi guardando un film. La paura che produco è artificiale, è qualcosa che ha a che fare con il mio subconscio, con una sfera di analisi che in molti rimuovono. Io ho deciso semplicemente di andare a vedere il mio lato oscuro, un lato che esiste in tutti noi e che qualcuno, per il terrore di rimanerne rapito, si nega a prescindere. Nell’imminenza di un film sogno cose fosche, crude, cupissime”.
Curiosi anche i retroscena di Profondo Rosso, scritto in una piccola villetta di sua proprietà, disabitata e abbandonata, alle porte di Roma: “Non ci andavo da anni, c’era polvere e avevano staccato la luce. Mi parve un posto perfetto. A Mentana andavo tutte le mattine all’alba e rimanevo fino all’imbrunire. Era l’estate del 1974. Scrissi a ritmo indiavolato perché sapevo che dovevo liberarmi dell’urgenza. Ogni tanto mi veniva a trovare mio padre, mangiavamo due porcherie in una bettola poco distante e poi lo salutavo per ricominciare. Sembravo posseduto. Il foglio bianco si riempiva e pareva che le immagini si muovessero sul foglio. Stava nascendo il film“. Lo scrisse in appena due settimane, un tempo record, seguito da un liberatorio bagno a Sabaudia.
E’ un Dario Argento che non ha paura di ricordare le innumerevoli volte nelle quali si è sentito dire “Non è più l’Argento di prima”: “All’inizio mi arrabbiavo, poi ho imparato ad aspettare. Il tempo è sempre galantuomo”. E che non è interessato ad avere eredi: “Non li voglio, non li cerco, non aspiro a insegnare niente a nessuno. La penso come Sergio Leone: Dei miei allievi non so niente e niente voglio sapere”.
Daniele Orlandi