E’ di almeno 35 morti e di decine di feriti, il bilancio del tremendo attentato che stamattina ha squarciato il centro di Kabul, in un Paese ormai martoriato da una guerra senza fine. Un attentato suicida avvenuto attorno alle 7 del mattino, in una zona della capitale abitata principalmente dall’etnia hazara, una minoranza sciita più volte vittima di attacchi nel corso della storia recente dell’Afghanistan.
A farne le spese sono stati i lavoratori del ministero delle miniere, come ha raccontato il portavoce del ministro dell’Interno. Oltre a loro, che secondo la rivendicazione dei talebani arrivata via Twitter erano “lavoratori dell’intelligence”, sono stati distrutti 3 veicoli civili e 15 negozi. Un’esplosione violentissima dunque, che aveva come target proprio il bus sul quale viaggiavano i dipendenti del ministero. Tutta la zona è stata isolata, mentre con l’attacco di oggi si assiste all’ennesima escalation di violenza da parte dei talebani. Anche qui, però, come in Iraq, come in Libia, come in Siria, la comunità internazionale resta inerme dinanzi al variegato e frammentato scenario col quale deve fare i conti un qualsivoglia progetto di pace, difficile da raggiungere quanto necessario. Oltre a ciò, non giocano a favore della risoluzione del conflitto gli interessi, ugualmente molteplici e variegati, coi quali finiscono a collidere tutti i protagonisti internazionali che si affacciano su simili territori. Qui come in Iraq, come in Libia, come in Siria.
Giuseppe Caretta