Lo si capisce dalle foto su Facebook. Le belve di Rimini, tutti stranieri (tre minorenni nati in Italia ed un 20enne congolese, capo branco, arrivato qui come ‘rifugiato per motivi umanitari’) non erano disperati e senza speranza. Non erano persone che erano state catapultate in un mondo diverso e incomprensibile o che non avevano nulla di cui vivere, e per questo dovevano spacciare.
No, anzi. I due fratelli marocchini sono figli di una coppia che vive a Pesaro. Il terzo, 16enne nigeriano, è figlio di nigeriani ed è nato nelle Marche. Il quarto, Guerlin Butungu, sbarcò a Lampedusa quando aveva 16 anni. Venne ospitato nella comunità Acquaviva di Cagli, ottenne lo status di rifugiato ‘per motivi umanitari’. Visse per otto mesi nella struttura Freedom, a Pesaro, assieme ad altri 15 rifugiati. Poi ha frequentato il corso da cameriere ed ha lavorato al ristorante La Perla, a Fano. Ma voleva di più. Dalle foto su Facebook si evince che i vestiti che indossa, la vita che fa sono costosi rispetto al suo standard di vita. Si crea un branco: i tre minorenni hanno alle spalle diversi furti e spaccio di droga.
Non erano quattro poveri disperati, volevano fare la bella vita. Secondo gli inquirenti che stanno trattando la vicenda, sono stati “Turpi, brutali e ripetuti atti di violenza”. A colpire gli inquirenti, ‘l’assenza di pentimento’ per quanto avvenuto. “In caserma non ci sono state scene di lacrime o pentimenti”.
Roversi MG.