Sì all’inserimento della triptorelina
Qualche giorno fa l’Aifa (Agenzia Italiana per il Farmaco) ha acconsentito all’inserimento della triptorelina tra i farmaci a carico del ‘Servizio Sanitario Nazionale’.
La triptorelina, un farmaco utilizzato per combattere il tumore alla mammella o alla prostata e anche per problemi ormonali specifici, ha il potere di inibire la secrezione ipofisaria delle gonadotropine, ritardando così lo sviluppo del bambino che soffrono di “Disforia di Genere”.
La “Disforia di Genere” è quella condizione per la quale una persona sente una forte e duratura identificazione nel sesso opposto a quello biologico. Spesso i disagi relativi all’identificazione nel sesso opposto possono essere avvertiti nella fase preadolescenziale.
La “Disforia di Genere” in Italia e nel mondo
Fin dal 2013 in Italia, nello specifico all’ospedale ‘Careggi’ di Firenze, i bambini a cui era stata diagnosticata la ‘Disforia di Genere’ potevano avvalersi del supporto del centro di “Medicina della Sessualità e Andrologia” e cominciare un percorso di “cambiamento” attraverso l’utilizzo di alcuni inibitori, come ad esempio la triptorelina.
Nel resto del mondo l’accettazione di tale percorso è avvenuta molto prima e già nel 2010 , nel Regno Unito, sono stati registrati 97 casi di bambini che soffrivano di questa condizione. Alcuni credono che il “boom” della richiesta di questo tipo di trattamento sia un vezzo del genitore o semplicemente una condizione temporanea del bambino, destinata a scomparire con l’età.
Damiana Massara, coordinatrice della commissione minorenni della Onig (Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere), ha commentato così questo pensiero comune: “In realtà non possiamo parlare di un aumento del numero dei bambini che manifestano la disforia di genere, ma di una maggiore attenzione da parte dei genitori che ora sanno a chi rivolgersi. Gli stessi gruppi di ricerca si sono resi conto che la disforia di genere non poteva non essere considerata anche in bambini piccoli“.
“A contattarci sempre più spesso sono i genitori dei bambini che dimostrano comportamenti atipici, mentre nel caso degli adolescenti il procedimento è inverso: sono loro che si rivolgono direttamente ai nostri centri, delegando a noi un primo contatto con i loro familiari“.
Mario Barba