“Finalmente Alfie è morto”. I commenti choc sui social: un’occasione sprecata?

Uno dei commenti sui social

Social media, libertà di parola e rispetto 

“I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli”.

Questa famosa frase venne pronunciata da Umberto Eco durante la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e Cultura dei media.
Si tratta di una frase molto dura, che si può condividere o meno (l’autrice non la condivide): del resto, ciascuno di noi può pensare si adatti perfettamente a qualcuno che a sua volta ritiene lo stesso nei nostri confronti.
La libertà di parola è sacra, ma ha dei limiti molto sottili, quando va a toccare la dignità, la vita di una persona o di un gruppo di persone. La censura è sempre sbagliata, ma è sacrosanto il diritto di critica. Chi scrive un pensiero si espone alle altrui critiche.

Censura no. Critica sì

commenti alfie social chocLa critica di oggi è rivolta ad una serie di commenti che hanno invaso il web alla notizia della morte di Alfie Evans, il bambino inglese che è deceduto all’Alder Hey di Liverpool dopo che i medici hanno deciso di sospenderne la nutrizione.
Sono in maggior parte commenti dal famoso (o famigerato) Gruppo Facebook Giente Honesta, in precedenza già finito sulle pagine dei giornali a causa del comportamento di alcuni membri del gruppo (sembra poi allontanati) che avevano pesantemente deriso la morte di Beatrice Inguì, una ragazza torinese suicidatosi sotto un treno perché non accettava di essere “troppo grassa”.

Il piccolo Alfie era affetto da una grave malattia che non gli lasciava scampo, ma non era in fase terminale: infatti quando i medici gli hanno staccato il respiratore, il piccolo ha continuato a respirare autonomamente, seppure con difficoltà, per una notte intera. I suoi genitori si sono appellati al Papa per reclamare il diritto di spostare Alfie in un altro ospedale (il Bambin Gesù di Roma, nella specie) ma i giudici hanno sempre bocciato i loro appelli, destinando Alfie a rimanere all’Alder Hey e a morire lì.

Un’opportunità di dialogo sprecata 

Il caso di Alfie è stato straordinariamente controverso, ed ha spaccato l’opinione pubblica, come sempre avviene coi casi controversi.
I commenti sui social si sono sprecati: preghiere, rabbia, comprensione verso i genitori, chi invece li riteneva egoisti e incapaci di farsi una ragione della inguaribile malattia del piccolo.
Frasi come “Finalmente è morto!” o “Che figura di merda ha fatto l’Italia a concedergli in fretta la cittadinanza per cavalcare una bella onda populista!” “Noi italiani siamo quelli buoni che accolgono a braccia aperte sperando nel miracolo!” tradiscono però alcune incomprensioni di base del caso Alfie.

Come il fatto che alcuni medici privati che hanno visitato il piccolo abbiano ritenuto che c’erano stati errori nella diagnosi o nel trattamento. O il concetto che i genitori di Alfie non speravano in alcun miracolo divino o laico (assai poco probabile, stante le condizioni del piccolo) ma volevano solo rivendicare il diritto di scegliere come e fino a quando curare il loro bambino, e dove curarlo.

Il corpo è mio, lo gestisco io. Per Alfie non vale?

La logica del “il corpo è mio e lo gestisco fino alla fine” non è certamente caduta dal cielo, ha basi ben precise e anche condivisibili. Ma se questo deve valere per una persona che sceglie di mettere fine alla sua esistenza, perché non dovrebbe valere anche la libertà degli aventi diritto su un bambino malato di decidere delle sue cure? O la libertà è tale pienamente, o non è.

Sono temi davvero complessi, delicati, e che dovrebbero trovare spazio di esprimersi al di fuori dai cori da stadio di ambo le parti, di quella di chi sperava nel miracolo e di chi invece riteneva che la vita di Alfie fosse “inutile”.

Inutile forse non è stata, se ci ha dato modo di interrogarci in maniera non banale sui limiti e sul valore dell’esistenza, su cosa sia o non sia vita, e su quanto essa valga lo sforzo di esistere. Riflessioni che cozzano rumorosamente, e si infrangono, contro gli scogli dell’insensibilità e del cinismo, che possono sembrare esercizi innocui di black humor ma che tradiscono una mancanza di empatia che, in definitiva, stronca ogni possibilità di dialogo.
La rete è una grande risorsa, ma può essere anche un grande spreco.

R.M.