I foreign fighters che hanno combattuto per ISIS e tornano in Italia
129. Questo è il numero dei soggetti che hanno avuto legami con l’Italia, i termini di cittadinanza, o di permesso di soggiorno, o residenza abituale sul nostro Paese, e che sono andati a combattere per l’ISIS in Siria. Sono i c.d. foreign fighters, termine ormai entrato nel linguaggio comune col quale ci si riferisce a soggetti che si sono consapevolmente arruolati nelle forze straniere (in questo caso, terroristiche) per andare a combattere in altre zone del mondo.
Sono 800, invece, i jihadisti con cittadinanza europea che si trovano in Siria detenuti. Che fine faranno? Il dibattito è drammaticamente aperto. Trump, intanto, ha lanciato l’ultimatum.
“Gli Stati Uniti chiedono a Gran Bretagna, Francia, Germania e ad altri alleati europei di riprendersi e processare gli oltre 800 combattenti dell’Isis che abbiamo catturato in Siria. L’alternativa non è buona perché saremmo costretti a rilasciarli” ha scritto Trump su Twitter. Germania e Regno Unito, però, non sembrano per nulla propensi a riprendersi i loro cittadini. Per motivi logistici e giudiziari, ufficialmente (è necessario raccogliere prove sui crimini effettivamente commessi da queste persone, sul loro ruolo nell’organizzazione terroristica, e ciò non è affatto facile).
Per la paura che possano diventare delle mine vaganti o radicalizzare altri detenuti in prigione, in un contesto dove la ‘Fortezza Europa’ pullula già dall’interno di radicalizzati pericolosi e non esistono strumenti ad hoc per disinnescare queste mine. Mancano i fondi, i progetti carcerari: quella della radicalizzazione in fondo è un fenomeno molto recente che l’Europa si è trovata ad affrontare.
In Italia non c’è ancora una posizione ufficiale, ma Paolo Grimoldi, della Lega, è propenso al no. Riferito a Samir Bougana, terrorista con residenza a Brescia, dice “L’Italia non muoverà un dito per riportare qui Bougana, che adesso dalle carceri siriane, dove è rinchiuso dopo essere stato catturato dai curdi, piagnucola per il trattamento e auspica di scontare la sua pena nelle carceri italiane e di poter poi rifarsi una vita in Italia. Di lui si occuperanno i siriani e i curdi che ha combattuto”.
Chi sono i foreign fighters italiani
I foreign fighters italiani sono quasi tutti figli di genitori stranieri, i c.d. italiani di seconda generazione, con poche eccezioni come quella di Lara Bombonati, 26 anni e già rinviata a giudizio, o Giuliano Delnebo. Sono andati a combattere in Siria ed in Iraq, a dare man forte all’ISIS ed ai movimenti islamisti radicali. Ne sono partiti 129, ne sono tornati 13. L’Italia ha il maggior numero di decessi (o mancati ritorni) foreign fighters: in altri Paesi con alto numero di partenze, come il Belgio e la Francia, hanno una percentuale di ritorno del 50%.
“Il nostro Paese ha una delle percentuali di decessi più alta” dice Lorenzo Vidino, della George Washington University ed ex coordinatore della Commissione italiana per lo studio della radicalizzazione.
Chi sono i returnees Italiani?
I foreign fighters ritornati in Italia, o returnees come vengono spesso chiamati, sono tanti. C’è Lara Bombonati, 26 anni, e ora rinviata a giudizio con l’accusa di associazione a delinquere.
C’è Maria Giulia Sergio, la prima jihadista italiana che si convertì all’Islam e sposò un miliziano che morì in guerra. La donna era andata a vivere in Siria ed aveva cercato di convincere anche i suoi genitori a raggiungerla lì.
O Alice Brignoli, la mamma di Lecco partita per la Siria col marito Mohamed e con i tre bambini di 3, 5 e 7 anni. La famiglia è scomparsa poi dai radar dei carabinieri anti-terrorismo e della 39enne italiana, del marito Mohamed Koraichi di 31 anni e dei figli non si sa più nulla al 6 marzo 2015.
Non hanno avuto così fortuna Giuliano Delnevo, genovese, 20 anni, morto in Siria dopo essersi unito ai terroristi che combattevano Assad. O Anas El Abboubik, bresciano e origini marocchine, processato in assenza a Brescia per terrorismo per essersi addestrato fianco a fianco con l’ISIS e ritenuto morto in battaglia.
Di Samir Bougana, 24enne straniero e con cittadinanza italiana, non si sa nulla. Neppure di Meriem Rehaily, originaria di Padova, 23 anni e probabilmente madre di due figli avuti da militanti islamici. Ora che l’Iran, la Russia e la Siria hanno definitivamente sconfitto il terrorismo, potrebbero riemergere questi ed altri foreign fighters. L’attenzione su loro è altissima.
Le donne partite per la Siria e inghiottite dalla guerra
Per molti di loro non c’è probabilmente più alcuna speranza. Fausto Biloslavo, inviato del Giornale a Raqqa, nell’estate del 2017 ha realizzato un eccezionale documentario per raccogliere notizie sul destino di alcune donne con cittadinanza italiana che si erano trasferite in Siria.
I loro nomi sono Sonia Khediri, Alice Brignoli, Meriem Rehaily, Maria Giulia Sergio. Biloslavo, inviato a Raqqa, ha cercato con prudenza di raccogliere informazioni su queste donne. Secondo le mogli dei mujaheddin, alcune di essere potrebbero essere state uccise. Un’italiana, narrano le fonti locali, è stata lapidata per adulterio.
“È stata portata vicina alla moschea Al Nour e lapidata a morte” racconta Nour, sposa di un jihadista a Raqqa. Non si sa quale italiana fosse, né si può ovviamente verificare l’attendibilità del racconto, ma effettivamente le probabilità che alcune delle donne andate in Siria abbiano fatto una fine orrenda sono alte.
I rischi del Blowback
Il dibattito pubblico sul destino dei foreign fighters è aperto da tempo e non è certo semplice. Coloro che fanno ritorno dopo aver scelto di arruolarsi nel terrorismo islamico sono considerate persone pericolose. Dovranno evidentemente affrontare un processo: e poi? C’è davvero speranza per la reintegrazione nella società di soggetti simili? Gli esperti temono il rischio blowback, cioè che i foreign fighters ritornati in Patria, prima o poi, possano decidere di passare all’azione proprio in Occidente.
Cosa succede una volta che i jihadisti tornano nei loro Paesi d’origine, in Occidente? Molti dei foreign fighters che fanno ritorno cercano di minimizzare il loro contributo alla causa jihadista che ha insanguinato la Siria. Alcuni si dichiarano cuochi, dicono di aver svolto lavori secondari, senza presenza sul campo di battaglia. Le donne dichiarano di essere state semplicemente le donne dei jihadisti. In ogni caso, il loro destino in Italia sarebbe il carcere.
Ma il problema della radicalizzazione esiste: sono 242, secondo il DAP, i soggetti a rischio radicalizzazione in Italia. I programmi di prevenzione contro l’estremismo religioso e quelli per reintegrare gli ex terroristi sono in stato embrionale. Preoccupa anche il destino dei figli dei foreign fighters, che hanno assistito a drammi e traumi terrificanti, esecuzioni, violenza, subendo un lavaggio del cervello sin dalla nascita.