Dopo Renzi, Berlusconi e Salvini, anche il leghista Giorgetti mostra le difficoltà dei politici italiani con l’inglese

E va be’, ma l’italiano è una lingua maledetta!“,questa frase, detta dal compianto Paolo Villaggio nel film “Fantozzi, il ritorno”, ben si addice a molti politici italiani in caso si sostituisse la nostra madrelingua con la lingua della “Perfida Albione”, l’inglese.

Sebbene molti nostri politici abbiano mostrato delle grandi capacità di dialettica nella lingua anglosassone (menzioni di nota vanno a Paolo Gentiloni e Virginia Raggi, in particolar modo la seconda, la quale ha un accento e un modo di parlare da vera accademica), molti altri sono caduti in vere e proprie gaffe che sono state cibo di nutrimento e di divertimento per il popolo del web.

Basta ricordarsi il celebre SHISH di Matteo Renzi e l’agghiacciante caos fonico che uscì dalla bocca di Matteo Salvini a Koblenz (Germania) per poter scoppiare a ridere.

Purtroppo ieri un altro esponente tricolore è caduto nella trappola tessuta da questa lingua,parlata da quasi 800 milioni di persone intorno al mondo.

Giancarlo Giorgetti, inviato negli Stati Uniti per una “Una missione silenziosa, impegnativa e fondamentale” (ciò è stato scritto dalla pagina facebook della seda Nord Mantovana della Lega Nord) sembra abbia riscontrato numerose difficoltà con questa lingua, stando a quanto scritto dal giornalista della Repubblica Federico Rampini:

Giorgetti venerdì sera nella prestigiosa Harold Pratt House sulla 68esima Strada, circondato dai ritratti della élite di geopolitica e dalle boiserie ottocentesche, ha pronunciato un testo incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata. Il peggio è venuto quando si è ostinato a rispondere a braccio, sempre nel suo inglese maccheronico, alle domande.

Interrogato sulla posizione del governo riguardo alla crisi libica, ha detto, letteralmente: «French out» e «Better a dictator». Forse se avesse parlato in italiano avrebbe avuto qualcosa di più articolato da dire, non solo “fuori i francesi dalla Libia” e “si starebbe meglio con un dittatore”. Anche come sintesi della posizione del nostro governo, non è proprio il massimo. La diplomazia italiana ha dovuto correre ai ripari intervenendo subito dopo per spiegare cosa Roma sta cercando di fare in Libia insieme ai propri alleati Usa e Francia.”