Il caso di Noa Porthoven, la giovane lasciata morie di stenti nei Paesi Bassi, ha dato lo spunto per fare una riflessione ben più ampia sulla cultura della morte nella nostra società e sul diritto all’aborto
La nostra è una società che si muove verso la morte e non verso la vita, o almeno questo è quello che pare emergere analizzando le tendenze propugnate dai progressisti. È il caso della giovanissima Noa Porthoven, morta a 17 anni nei Paesi Bassi per non essersi più alimentata, a dare lo spunto per far partire questa riflessione. La notizia secondo cui i Paesi Bassi avessero concesso l’eutanasia alla giovane, che in tenera età era stata irrimediabilmente segnata da uno stupro, è stata confutata, ma pare che la famiglia abbia tacitamente accettato la scelta di morte fatta dalla ragazza. La nostra è una cultura che tende ad abbracciare il diritto alla morte, piuttosto che quello alla vita? Sono le istanze dei progressisti, che spesso avversano cioè che la società etichetta come “normalità”, a dettare delle tendenze– e a farlo solo per andare controcorrente– o esiste davvero la necessità di avere morte e vita regolamentate dagli stessi diritti? Vediamo come le tendenze da seguire vengano spesso dettate dalle mode o presunte tali lanciate dai Vip: in questo momento è la lotta per il diritto all’aborto a farla da padrone.
La nostra società ossessionata dalla cultura della morte, le idee progressiste indicano la via da seguire
Il caso della morte della giovanissima Noa Porthoven ha avuto molto presa sull’opinione pubblica, tanto da portare a fare delle considerazioni su quanto stia succedendo alla nostra società. Sempre più spesso ci si batte per ottenere il diritto di morire, e lo si fa facendo in modo che sia la legge stessa a regolamentare le modalità di questo diritto, per renderlo legittimo. Ma è legittimo battersi per la morte? C’è un confine che l’uomo non dovrebbe superare? “Non è forse compito degli adulti contrastare in ogni modo – anche attraverso le Leggi – la spinta alla morte, sia essa quella della violenza sia essa quella dell’ autodistruzione?”, ha scritto lo psicanalista Massimo Recalcati su La Repubblica, in quello che è stato definito (da Francesco Borgonovo per La Verità) un manifesto a favore della vita. Il pensiero progressista, tuttavia, cioè quello sostenuto dalla maggior parte delle personalità più in vista del pianeta, implica di andare a favore delle scelte pro morte e di relegare in secondo piano quelle che riguardano la vita.
La nostra società ossessionata dalla cultura della morte, gli stilisti scendono in campo a favore dell’aborto
Sono le scelte fatte dai Vip che, in genere, fanno tendenza e sono capaci di dire cosa va e cosa non va. Proprio perché i Vip fanno il giro del mondo, con la loro vita, il gossip a loro legato, e molto altro, sono questo tipo di persone a stabilire- a volte in automatico e non volontariamente- le mode e le tendenze da seguire. Sia tra i colleghi Vip, che spesso vi si adeguano per seguire la scia e far parlare di se stessi, sia tra le persone che non appartengono a quello stesso “mondo dorato”. Le ultime settimane hanno visto i Vip scendere in campo schierandosi in favore dell’aborto, ad esempio con l’ultima sfilata di Gucci che è stata dedicata proprio a questa tematica. Anche lo stilista Marc Jacobs farà una cosa simile, al fianco di Miley Cyrus, e cioè dare i proventi realizzati con la nuova linea prodotta a Planned Parenthood, multinazionale americana del controllo delle nascite.
La nostra società ossessionata dalla cultura della morte, la protesta di Miley Cyrus
La stessa Myley Cyrus è apparsa su Instagram mentre sta per assaggiare una torta con su scritto un eloquente messaggio pro aborto: “L’aborto è assistenza sanitaria”. Una torta copiata alla pasticcera femminista Becca Rea-Holloway (ma questo del plagio della torta e del risentimento mostrato dalla pasticcera è un altro discorso). In questo caso si può parlare di una vera e propria battaglia? La discesa in campo degli stilisti, così come di imprenditori che si occupano di altro, in questi casi fa pensare a un discorso di mera visibilità e pubblicità. Ci si schiera dalla parte del particolare, del chiacchierato, dell’attuale, per avere più risonanza mediatica e più entrate economiche. E così hanno fatto, seguendo la scia, circa 50 attori hollywoodiani che hanno annunciato che non lavoreranno più in quegli Stati con all’attivo delle leggi restrittive riguardanti l’interruzione di gravidanza. Un boicottaggio che sembra più dettato dalla moda, visto che in qualche caso altri attori hanno lavorato in Paesi esteri con delle leggi ancora più restrittive.
Maria Mento