Calenda fa mea culpa: “Salvaguardare il lavoro e non il lavoratore? La più grande caz***a”

Calenda fa mea culpaCarlo Calenda ha fatto dietrofront sulle posizioni liberiste propugnate per anni e ammette di aver sbagliato nei confronti dei lavoratori.

Di recente Carlo Calenda ha partecipato, al fianco degli ex operai dell’Embraco, ad una manifestazione sotto il Mise. Il politico ha preso a cuore la loro situazione lavorativa, visto che l’azienda per cui lavoravano li ha licenziati dopo averli sfruttati per istruire sul lavoro dei colleghi slovacchi. Gli operai italiani avevano chiesto all’azienda delle rassicurazioni sul proprio posto di lavoro a cui i proprietari avevano risposto affermativamente, negando tassativamente la possibilità che si ritrovassero disoccupati da un giorno all’altro. Le promesse però si sono rivelate vane quando la nuova proprietà, l’azienda Ventures, ha deciso di chiudere la fabbrica in Italia. Nonostante il sostegno agli operai, alcuni di questi lo hanno accusato di essere causa dei licenziamenti.

Calenda ammette le proprie colpe

Secondo quanto raccontato dal ‘Huffintonpost‘, in un primo momento Calenda ha rintuzzato le accuse. Ma di sera, alla presentazione del libro di Antonio Polito, l’europarlamentare ha parlato della situazione in cui si trovano gli operai della ex Embraco, esprimendo il proprio dispiacere e ammettendo che in passato ha commesso degli errori. Il politico non parla di una colpa diretta sul licenziamento degli operai, ma di aver spesso difeso un punto di vista economico sbagliato.

Parlando infatti del liberismo propugnato sino a poco tempo prima dice: “Una delle più grandi cazzate che abbiamo raccontato è che non si salvano i posti di lavoro, ma si salva il lavoro. Per cui pensiamo che un operaio di cinquant’anni che ha passato la vita a fare impianti può andare a lavorare nell’economia delle app. Queste cazzate le abbiamo sostenute, io le ho sostenute, per 30 anni. E poi dice che vincono i sovranisti…”.

Adesso infatti è persuaso che bisogna recuperare pragmatismo e che la società deve recuperare terreno sul progresso, in modo tale da non esserne schiacciata. La chiave economica corretta dunque sarebbe l’applicazione di un “liberismo sociale”, attento dunque alle istanze dei lavoratori prima che a quelle dei padroni. Calenda sostiene di aver capito il suo errore solamente quando si è trovato di fronte agli operai con cui ha protestato: “Quando Giavazzi e Alesina scrivevano sul Corriere che non bisognava salvaguardare il posto di lavoro ma il lavoro, io dicevo ‘oh che gran figata’. Poi quando ho avuto davanti l’operaio dell’Embraco ho capito che era una gran cacchiata”.