Non solo Parolisi: ecco che fine hanno fatto i protagonisti dei casi di cronaca nera più efferati degli ultimi 20 anni

Partendo dalle recenti dichiarazioni emerse sul delitto di Melania Rea e sulla possibilità che Salvatore Parolisi torni libero, ci siamo chiesti che cosa ne sia stato dei responsabili dei più efferati delitti di cronaca nera degli ultimi 20 anni in Italia

Qualche giorno fa diverse testate giornalistiche hanno riportato l’ipotesi che Salvatore Parolisi, riconosciuto colpevole di aver assassinato la moglie Melania Rea massacrandola con 35 coltellate, possa tornare in libertà grazie alla buona condotta. Ipotesi che ha portato alla durissima reazione di Michele Rea, il fratello della donna assassinata, il quale ha dichiarato al giornale “Giallo” che è “Assurdo dare benefici a chi ha commesso una simile atrocità. Parolisi non si è mai pentito, né ha chiesto scusa”. Quello di Melania Rea, però, è soltanto uno degli efferati delitti che sono stati compiuti in Italia nell’ultimo ventennio. Ripercorriamo insieme le vicende i principali e vediamo, oggi, cosa ne è stato dei responsabili.

Novi Ligure, una nova vita per Erika e Omar: lei si è sposata

21 febbraio 2001: a Novi Ligure (Alessandria), Erika De Nardo e l’allora fidanzatino Omar Favaro uccidono a coltellate Susanna Cassini e Gianluca De Nardo, rispettivamente la mamma e il fratellino di lei.

Una nuova vita per Erika e Omar. I due ex fidanzatini di Novi Ligure, responsabili dell’uccisione della mamma e del fratellino di Erika, stanno cercando di ricostruirsi un’esistenza. Avevano ucciso perché la famiglia di Erika era considerata un impedimento alla loro relazione amorosa, ma la vicenda giudiziaria che è seguita ha messo comunque fine a quell’amore adolescenziale che li ha visti legati. Condannati rispettivamente a 16 anni (Erika) e 14 anni (Omar) di reclusione, il giovane ha lasciato il carcere nel 2010 grazie all’indulto e alla buona condotta. Nel 2011 anche Erika ha lasciato il carcere. La ragazza, nel frattempo, si è laureata in Filosofia e risale proprio a qualche settimana fa la notizia, data da Don Mazzi che l’aveva accolta nella comunità “Exodus”, del suo matrimonio. Anche il padre di Erika è riuscito a rifarsi una vita: l’uomo non ha mai abbandonato la figlia, nonostante tutto, e oggi ha contratto un secondo matrimonio.

Delitto di Cogne, Anna Maria Franzoni è tornata dalla sua famiglia

30 gennaio 2002: in una villetta di Montroz (Cogne, Valle d’Aosta) viene ritrovato il corpo senza vita del piccolo Samuele Lorenzi, bimbo di tre anni. Unica indagata per quest’omicidio la madre, Anna Maria Franzoni.

Non ha mai ammesso di avere ucciso suo figlio e si è professata sempre innocente. Anna Maria Franzoni, la donna che si è trovata al centro del caso Cogne e che è stata accusata di aver ucciso il figlio Samuele, 18 anni dopo quella vicenda è ormai una persona libera. Ha pagato il suo conto con la giustizia, in linea con quanto stabilito dalla legge pensale in Italia: ha scontato 6 anni di reclusione in carcere e 5 anni agli arresti domiciliari. In questa battaglia legale il marito non ha mai fatto mancare il suo sostegno alla moglie, dimostrando di credere alla sua innocenza. Il 7 febbraio del 2019 la donna ha estinto la sua pena e ha lasciato la casa in cui ha scontato i domiciliari. Pare abbia intenzione di vivere una vita defilata insieme al marito e ai suoi due figli, uno dei quali nato dopo il delitto, ma con la speranza di far capire alla gente di non essere stata lei a uccidere Samuele.

Strage di Erba, Olindo e Rosa  sono in carcere (ma c’è chi dubita della loro colpevolezza)

11 dicembre 2006: a Erba (Como, Lombardia) quattro persone vengono uccise a colpi di spranga e coltello. Si tratta di Raffaella Castagna, di sua madre Paola Galli, del figlioletto di Raffaella (il piccolo Youssef Marzouk) e della vicina di casa Valeria Cherubini. Il marito della Cherubini, Mario Frigerio, viene colpito alla gola ma si salva miracolosamente grazie a una malformazione alla carotide. È proprio l’uomo ad accusare della strage i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, vicini di casa delle vittime. I due coniugi sono stati condannati in via definitiva.

I fatti di cronaca nera che vanno sotto il nome di “Strage di Erba” riguardano la drammatica uccisione di quattro persone avvenuta 14 anni fa in provincia di Como. Youssef Marzouk, una delle vittime, era un bambino di soli due anni e questo- insieme a ciò che venne dichiarato in seguito- ha contribuito a suscitare sentimenti di commozione nell’opinione pubblica. Ripercorriamo quella vicenda, partendo proprio da quella tragica sera dell’11 dicembre del 2006.

Un incendio, divampato nell’abitazione di Erba in cui vivono i coniugi Marzouk e il loro figlioletto, attira l’attenzione di due vicini di casa della coppia. Uno di loro è un pompiere ed entrambi tentano di entrare nell’appartamento in fiamme, prima dell’arrivo degli altri Vigili del Fuoco. Quello che si trovano di fronte è uno scenario agghiacciante. Ci sono cinque persone, tutte credute decedute ma non a causa dell’incendio. Le persone in questione sono state brutalmente uccise. Miracolosamente, una di quelle cinque vittime è ancora viva e viene soccorsa: si tratta di Mario Frigerio, colpito da chi ha cercato di ucciderlo da un fendente alla gola e salvatosi grazie a una malformazione congenita. Le persone decedute sono la giovane Raffaella Castagna, suo figlio Yousef Marzouk , sua madre Paola Galli e la vicina di casa (moglie di Frigerio) Valeria Cherubini.

I primi sospetti ricadono su Azouz Marzouk, marito e padre di due delle quattro vittime già noto agli inquirenti per dei precedenti di spaccio di droga. Quando si accerta che Marzouk-nel momento in cui veniva compiuta la strage- si trovava in Tunisia, i sospetti si spostano su Olindo Romano e Rosa Bazzi e diventano sempre più forti. I due vicini di casa delle vittime che in passato avevano avuto problemi legali con Raffaella Castagna. I due, che sono sposati e legati da un amore indissolubile e morboso, avevano tenuto dei comportamenti sospetti agli occhi degli inquirenti e avevano mostrato totale indifferenza nei confronti dell’accaduto. La coppia venne arrestata nel gennaio del 2007, in seguito a una confessione rilasciata da entrambi e poi da entrambi ritrattata. Nella vicenda giudiziaria che ne seguì un ruolo importante lo ebbe testimone oculare Mario Frigerio, il sopravvissuto, che ha identificato nella persona di Olindo Romano il suo aggressore. Nel 2011 i due furono condannati definitivamente all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni dalla Corte di Cassazione di Roma. Nel 2013 i loro legali, dopo essersi appellati alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, chiesero la revisione del processo, ma richiesta fu ritenuta non escussibile e non ammissibile per manifesta infondatezza del ricorso. Una delle questioni su cui si fondava la richiesta della difesa riguardava le dichiarazioni rilasciate qualche tempo prima da Azouz Marzouk, il quale aveva dichiarato di aver iniziato a dubitare della colpevolezza dei coniugi Romano.

Oggi Mario Frigerio non c’è più, così come Carlo Castagna (padre di Raffaella, nonno di Youssef e marito di Paola): il primo è deceduto nel 2014 a causa di un male incurabile, mentre il secondo è  morto  il 26 maggio del 2018. In quanto ad Azouz Marzouk, l’uomo è stato condannato all’espulsione dall’Italia in quanto “soggetto socialmente pericoloso” dopo che la Cassazione aveva reso definitiva la sua condanna per droga. La condanna, come ha riportato Il Giorno, è stata poi revocata e sostituita con una a 9 mesi di libertà vigilata. Si è risposato con Michela Lovo ed è oggi padre di tre bambine.

Delitto di Avetrana, la vita della famiglia Misseri 10 anni dopo la morte di Sarah

26 agosto del 2010: ad Avetrana (Taranto, Puglia) scompare nel nulla la piccola Sarah Scazzi. L’annuncio della scoperta del suo corpo privo di vita è avvenuto in diretta, durante la messa in onda di “Chi l’ha visto”. Per il suo delitto sono finiti alla sbarra gli zii Michele Misseri e Cosima Serrano e la loro figlia Sabrina Misseri.

Il delitto di Avetrana è uno dei delitti che più ha sconvolto l’opinione pubblica, in Italia, negli ultimi dieci anni. Il 26 agosto del 2010 la piccola Sarah Scazzi scomparve nel nulla in provincia di Taranto. Alla denuncia della scomparsa della giovane seguirono settimane di frenetica ricerca: una ricerca sponsorizzata soprattutto da Sabrina Misseri, la cugina di Sarah, che da subito era apparsa fortemente preoccupata per le sorti della cuginetta. Poi la svolta, proprio mentre andava in onda una puntata di “Chi l’ha visto” e la famiglia di Sarah era in collegamento con Federica Sciarelli, in studio.

Michelle Misseri, lo zio di Sarah, aveva confessato di averla uccisa e aveva portato gli inquirenti nel luogo in cui aveva occultato il corpo. L’uomo disse di averla uccisa in seguito a un tentativo di abuso sessuale. Le indagini, però, fecero emergere presto una realtà ben diversa da quella inizialmente ricostruita. La versione fornita da Michele Misseri era fasulla e sarebbe stata prodotta solo per proteggere le vere responsabili del delitto, cioè la moglie Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri. Sabrina, in particolar modo sarebbe stata gelosa della cugina per le attenzioni da amico che Ivano, un ragazzo che le interessava, le riservava. La gelosia, sarebbe, dunque il movente che ha portato all’uccisione di Sarah.

Per questi fatti, il 21 febbraio del 2017 la Corte di Cassazione ha confermato le condanne all’ergastolo comminate in precedenza a Cosima e Sabrina. Tra i condannati ci sono anche Michele Misseri (8 anni per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove), Carmine Misseri (un anno e quattro mesi) e Vito Russo jr. e Giuseppe Nigro (favoreggiamento personale). Sabrina Misseri e Cosima  Serrano si sono sempre dichiarate innocenti.

Nel gennaio del 2020 sono arrivate delle altre condanne per 11 persone: tra loro spiccano i nomi di Michele Misseri (reato di autocalunnia) e per Ivano Russo (reati di falsa informazione e falsa testimonianza).

Omicidio di Yara Gambirasio, Massimo Bossetti in carcere: condannato definitivamente all’ergastolo

Massimo Bossetti nuovi esami reperti indagine26 novembre 2010: a Brembate di Sopra (Lombardia) scompare nel nulla la 13enne Yara Gambirasio. Il suo corpo verrà ritrovato solo dopo la fine dell’inverno. Per il suo omicidio è stato arrestato e condannato Massimo Giuseppe Bossetti

Ai nomi di Yara Gambirasio e di Massimo Bossetti è legata la più grande caccia all’uomo mai messa in piedi- almeno in Italia- grazie all’ausilio del DNA. Yara è scomparsa nel novembre del 2010 e il ritrovamento del suo corpo ha fatto parlare, senza ombra di dubbio, di omicidio: la ragazzina sarebbe stara rapita– probabilmente a scopo di violenza sessuale– da un uomo che l’ha poi uccisa. Sui suoi indumenti vennero trovate tracce del DNA del suo aggressore, identificato come “Ignoto 1”. Dalla comparazione di quel DNA con quello altre persone è emersa una rispondenza che ha portato all’arresto, avvenuto il 16 giugno del 2014, di Massimo Giuseppe Bossetti. L’uomo è stato definitivamente condannato all’ergastolo il 12 ottobre del 2018, ma lui si è sempre professato innocente.

Seguirà l’inserimento di altri casi di cronaca che hanno segnato la recente storia italiana.

Maria Mento