Mamma vuole donare il fegato al figlio in fin di vita. L’incredibile scoperta: era stato scambiato in culla

Una mamma coraggiosa era disposta a donare parte del proprio fegato al figlio in fin di vita, ma non le è stato possibile: era stato scambiato alla nascita.

Quello vissuto dalla famiglia Yao è un dramma che affonda le proprie radici nel 1992, quando la signora Xu ha dato alla luce il figlio Abin. Recentemente i medici hanno scoperto che il ragazzo, ora 27enne, è in fin di vita e necessita di un trapianto di fegato per sopravvivere. La madre, una donna in perfetta forma fisica, aveva dato il consenso per la donazione, ma qualcosa è andato storto: il sangue dei due non era compatibile.

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I due genitori hanno voluto capire come fosse possibile che il tratto genetico di mamma e figlio fosse differente ed hanno investigato senza comunicare l’accaduto al figlio. Quando si sono rivolti all’ospedale della provincia di Henan in cui era nato Abin, hanno scoperto che lo stesso giorno (il 15 giugno) erano nati altri due bambini. Dopo aver fatto dei test del dna si è scoperto che una delle infermiere aveva scambiato i bambini nella culla.

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Mamma vuole donare il fegato al figlio, ma scopre qualcosa di incredibile: era stato scambiato in culla

Nonostante lo shock della scoperta, la mamma ha immediatamente contattato la donna a cui avevano dato suo figlio per dirle cos’era successo. Quindi le ha spiegato che il suo figlio biologico è affetto da un cancro al fegato terminale e che necessita di un trapianto immediato. Questa, però, le ha spiegato di avere l’epatite B già da diversi anni e che non può donare il suo organo.

Una storia paradossale che potrebbe portare alla morte di un ragazzo. La signora Xu ha spiegato ai media locali: “Ciò significa che a suo figlio è stato dato un alto dosaggio di vaccino per l’epatite B subito dopo la nascita, ma erroneamente è stato dato al mio”. La donna dunque denuncia le colpe del personale della struttura: “Per questo motivo Abin ha sviluppato un tumore al fegato in così giovane età. C’è un solo responsabile per questa drammatica situazione: l’ospedale”.