Sarri-Juventus, un esonero scritto da tempo. Ma le responsabilità non sono tutte sue

juventus sarri esonerato Maurizio Sarri non è più l’allenatore della Juventus.

Termina dopo appena una stagione l’avventura del “Comandante” sulla panchina più prestigiosa d’Italia. Fatale la brutta eliminazione patita in Champions League contro il (tutto sommato modesto) Lione, ma l’impressione è che la decisione sia stata presa da tempo, a prescindere dal risultato di ieri sera e dall’eventuale conquista del “pass” per le Final Eight di Lisbona.

Lo si deduce dalle dichiarazioni delle ultime settimane (“Resto? Ho un contratto…”, “I dirigenti non decidono in base a questa partita, avranno già deciso…”), da una freddezza diventata via via sempre più “siberiana” tra il coach e il club e dal fatto che “i giorni di riflessione” di cui parlava ieri sera Andrea Agnelli dopo il match contro i francesi siano diventate poche ore per decidere l’allontanamento del mister e l’ingaggio del nuovo tecnico.

Un anno solo. Era accaduto solo un’altra volta da quando Andrea Agnelli è presidente della Juventus: era il primo anno della sua gestione, e quel Luigi Del Neri chiamato per portare gioco e vittorie ad un team ancora convalescente dopo Calciopoli lasciò la Mole dopo una stagione conclusa al settimo posto.

Dopo di lui serviva un allenatore che riuscisse a far ritrovare dalle parti di Vinovo (oggi alla Continassa, ndr) quelle caratteristiche che da sempre contraddistinguono il DNA della Juventus: carattere, grinta, rabbia, fame, voglia di vincere sempre, voglia di gettare il cuore oltre l’ostacolo, voglia di inseguire il risultato fino all’ultimo respiro. Fino alla fine, appunto.

Siamo in un altro periodo storico e la caratura internazionale della Juventus è tornata elevatissima, malgrado le cocenti eliminazioni delle ultime due stagioni. Si sono fatti molti nomi per il dopo-Sarri – Simone Inzaghi, Pochettino, Mancini, Spalletti, fino al sogno Zidane e al clamoroso ritorno di Allegri – ma alla fine la scelta è ricaduta su Andrea Pirlo, recentemente nominato alla guida dell’Under 23 e ora direttamente “promosso” in prima squadra.

Sarà indispensabile ritrovare quelle caratteristiche a cui facevamo riferimento in precedenza, e chissà che non ci riesca proprio uno degli artefici della rinascita juventina dopo il periodo buio.

Toccherà quindi a Pirlo ridare “entusiasmo” all’ambiente bianconero, per usare il termine pronunciato ieri da Agnelli. Un entusiasmo davvero necessario, perchè la Juventus 2019/2020, dobbiamo dircelo senza giri di parole, è stata desolante sotto ogni punto di vista, e la vittoria del campionato rischia di far passare in secondo piano delle carenze strutturali talvolta anche spaventose. Lo scudetto, il nono consecutivo, è certamente un risultato di enorme prestigio, considerate anche le difficoltà di un campionato costretto ad un lungo stop per motivi che tutti conosciamo.

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Ma se ci si ferma ad analizzare come è arrivato questo successo, guardando le partite e i numeri, ci si rende conto che la “rivoluzione” propagandata la scorsa estate non è praticamente mai avvenuta. Il progetto tecnico non ha convinto in nessuna occasione, salvo qualche sporadica eccezione (le gare con l’Inter, il primo tempo casalingo contro il Napoli e la bella prova di Madrid uniche vere “perle”). Le difficoltà di questa Juve sono state sempre palesi, sia sul piano tecnico/tattico che dal punto di vista mentale. La formazione bianconera è apparsa fin troppe volte ciò che non è mai stata in questo decennio di “tirannia” sportiva: un ectoplasma, totalmente sterile in campo e poco coesa anche al di fuori.

Hanno segnato quasi sempre Ronaldo e Dybala: pochi gol, specialmente dal centrocampo

La Juventus ha vinto solo una delle 4 competizioni a cui ha partecipato, oltretutto di un solo punto. Ma per analizzare nel migliore dei modi la stagione Juventina è opportuno partire da un dato: i gol fatti.

La Juventus ha segnato in campionato 76 gol, ventidue in meno dell’Atalanta, tre in meno della Lazio, uno in meno della Roma e cinque in meno dell’Inter. Per farla breve, la vincente dello scudetto è solo il quinto attacco della Serie A. Tutto questo considerando il potenziale stratosferico a disposizione di Maurizio Sarri: poche squadre al mondo possono contare su giocatori offensivi come Dybala, Higuain, Douglas Costa, Bernardeschi e ovviamente Cristiano Ronaldo.

In Champions stesso discorso. La Juventus ha totalizzato 14 gol in otto partite. Per capirci, meno di quasi tutte le sue potenziali rivali (PSG, Bayern Monaco, Tottenham, Manchester City, Liverpool) fatta eccezione per il Barcellona e l’Atletico Madrid. E’ andata un po’ meglio in Coppa Italia, dove sono arrivati 4 gol all’Udinese e 3 alla Roma nelle due sfide casalinghe, prima dell’1-1 di San Siro subito prima del “lockdown” e dei due 0-0 nella semifinale di ritorno contro i rossoneri e nella finale di Roma, che ha visto prevalere il Napoli di Gattuso ai rigori (e gli sguardi persi nel vuoto di Ronaldo, Dybala e Cuadrado dovevano già dire molto…).

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Sommando il gol in Supercoppa contro la Lazio, il totale di reti segnate dalla Juventus è 98, di cui oltre la metà segnati da Ronaldo e Dybala: 37 il portoghese, 17 l’argentino. Higuain, che aveva abituato a ben altri numeri, si è fermato a 11 reti stagionali. Bernardeschi ha segnato solo due gol (contro il Bayer Leverkusen e contro la Sampdoria, entrambi in casa), mentre di Douglas Costa ricordiamo solo quella strepitosa serpentina di Mosca, la prodezza balistica a Marassi contro il Genoa (comunque ininfluente) e il rigore all’Udinese in Coppa Italia (anch’esso inutile ai fini del risultato).

Dal centrocampo non sono arrivati chissà quanti gol: Pjanic tre reti, Ramsey quattro, Matuidi uno, Bentancur uno, Khedira zero, Rabiot uno. Qualche aiuto (oltre che da alcuni autogol…) è arrivato dal reparto arretrato, con i 3 gol di Bonucci e i 4 di De Ligt, il gol di Chiellini a Parma nella prima giornata di campionato e la rete di Demiral a Roma. Rugani zero, De Sciglio zero, Danilo due, Cuadrado tre reti, Alex Sandro una marcatura.

Sconfitte meritate e vittorie mai del tutto convincenti

La produzione offensiva non è mai stata all’altezza di una rosa come quella bianconera e soprattutto di un’idea di calcio che ha, o quantomeno dovrebbe avere, Maurizio Sarri. Ma d’altronde sarebbe impossibile avere numeri diversi: quasi tutte le vittorie della Juventus ottenute in questa stagione sono arrivate creando molto poco e avvalendosi della giocata risolutiva del singolo. Contro il Milan è servita la magia di Dybala, contro il Napoli il fortunato autogol di Koulibaly al 92esimo, con l’Atalanta una doppietta di Higuain dopo 75 minuti di dominio bergamasco, con la modesta Lokomotiv Mosca il solito Dybala (all’andata) e appunto lo slalom di Douglas Costa al ritorno. In tutta la stagione, la Juventus è stata in grado di segnare più di tre reti in una partita solo in cinque occasioni: con il Napoli (ma al 92′ e su autogol), con il Cagliari, con l’Udinese (in Coppa Italia), con il Torino e con il Lecce, sempre in casa e sempre con 4 gol.

E’ vero, molto spesso anche la Juve di Allegri portava a casa il risultato in questo modo: basti pensare che in tutta la stagione 18/19 c’è solo una gara con 4 gol all’attivo della Juventus (contro l’Udinese, ndr), a dimostrazione di come il problema abbia radici lontane.

Ma Sarri è stato preso proprio per cambiare radicalmente questo approccio, portando la Juventus a vincere attraverso il dominio del gioco. Invece non solo il tecnico ex Napoli non ha portato nulla in tal senso, ma addirittura la sua Juve ha sovente rimediato sonori schiaffoni: basti pensare alle sconfitte senza appello contro Verona, Napoli (in campionato), Lazio (campionato e Supercoppa) e Lione, giunte senza riuscire a fare neppure il solletico al portiere avversario, e ai blackout terrificanti che hanno portato a rimonte impensabili, come quella subita dal Milan nel girone di ritorno e i ribaltoni (parziali e totali) contro Atletico, Lazio, Verona, Sassuolo, Udinese.

A tutto questo si aggiunge l’incredibile carenza di pericolosità su calcio piazzato: tolto il sigillo di Cristiano nel derby e le punizioni di Dybala contro l’Atletico e il Brescia la Juventus è stata tra le squadre che hanno segnato di meno su punizione diretta, ed è qualcosa di veramente desolante se si tiene conto del livello tecnico dei giocatori di Madama.

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Peggio ancora è andata in fase difensiva. In stagione la Signora ha incassato 54 gol, di cui 43 in campionato, e in molte occasioni è stata salvata dalle parate prodigiose di Szczesny e talvolta anche da “nonno” Buffon, stratosferico in finale di Coppa Italia. Per Sarri è un numero drogato dai “tantissimi rigori contro”, ma bastava guardare con attenzione le partite della Juve per rendersi facilmente conto che qualsiasi attacco degli avversari, a prescindere dalla loro qualità, provocava paurosi spasmi nella retroguardia bianconera.

Numeri molto pesanti, che dimostrano come la Juve sia riuscita a conquistare lo scudetto solo aggrappandosi alle giocate singole dei suoi giocatori più talentuosi, esattamente il contrario dell’obiettivo che si voleva raggiungere ingaggiando Sarri e la sua idea di calcio. Il mister toscano ha dimostrato una netta incapacità nel cercare di adeguarsi al materiale a disposizione, ma piuttosto è parso pretendere con una pericolosa ostinazione un improbabile adattamento alle sue idee, simile a quando si cerca di incastrare a forza i tasselli del puzzle nelle posizioni sbagliate. E gli infortuni di alcuni elementi, seppure pesanti (vedi Chiellini e Demiral, l’ormai lungodegente Khedira e i fragilissimi Ramsey e Douglas Costa), non possono bastare come attenuante.

Rabbia, grinta, fame: è mancata la Juve di sempre

Un approccio totalmente differente da quello del suo predecessore, che arrivò in punta di piedi dopo il traumatico addio di Conte e con la massima umiltà (nonostante uno scudetto vinto con il Milan e percorsi in Champions niente affatto inferiori a quelli dei bianconeri di quel periodo) decise di non stravolgere nulla e di provare a modificare alcune cose man mano, riuscendo anche ad assimilare quella difesa a tre (dapprima mantenuta, poi talvolta riproposta) che non aveva mai fatto parte della sua esperienza da tecnico ma che tanta fortuna aveva portato alla Juventus “contiana”. Allegri è un gestore, Sarri è un integralista: ma alla Juve “vincere è l’unica cosa che conta”, e se non riesci in un modo devi capire come riuscirci in un altro.

Un’altra differenza netta con Allegri è l’incapacità di leggere la partita ed effettuare cambiamenti che possano ribaltare la situazione. I successi della Juventus ottenuti grazie ai cambi azzeccati del tecnico livornese sono numerosissimi (e spesso anche con panchine inferiori a quella attuale, ndr), mentre i tifosi fanno certamente fatica a ricordare anche solo una vittoria bianconera determinata da una mossa tattica di Sarri durante la gara (con una sostituzione, uno spostamento di posizioni, un’inversione degli esterni, ecc).

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Infine c’è il discorso della mentalità, della rabbia agonistica, della celebre “fame” Juventina, che è un aspetto tutt’altro che secondario. Nella squadra di quest’anno non si è mai visto nulla di tutto questo. La Juventus è apparsa frequentemente abulica, appiattita su sé stessa, drammaticamente avvolta in un manto di torpore. Il furore che ha spesso caratterizzato le stagioni bianconere è sembrato quasi sparito. La Juventus di Sarri non era aggressiva, non pressava, non recuperava palloni, non raddoppiava, è parsa costantemente in ritardo sulle seconde palle, è stata molte volte sovrastata nel gioco aereo, molto spesso ripiegava male quando perdeva palla, dando l’idea di essere una squadra molle, senza nerbo, con la testa da un’altra parte e scarsamente coesa dentro e fuori dal campo. Emblematico l’episodio di Lione, con Bonucci che nel riscaldamento pre-gara richiama Matuidi dopo aver notato che “la spina non era attaccata”.

Sarri, in un’intervista di qualche mese fa, disse di non riuscire a far entrare certi concetti nella testa dei giocatori: l’impressione è che non sia riuscito a far entrare nulla nemmeno dal punto di vista caratteriale, nessuno stimolo, nessuna convinzione nei propri mezzi e nel lavoro svolto.

Le responsabilità di Nedved e Paratici: la rosa ha molti punti interrogativi

Ma allora le colpe sono tutte del tecnico di Figline Valdarno? Non esattamente. Grossissime responsabilità vanno ricercate anche nelle scelte operate dalla società la scorsa estate, in particolar modo da Pavel Nedved e Fabio Paratici. L’ex “Furia Ceca” è considerato il “deus ex machina” della rivoluzione bianconera in salsa sarrista (e anti-allegriana…), ma chiaramente sarebbe servita una squadra più adatta al gioco proposto da Sarri.

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Ma la Juventus non è riuscita a cedere nessuno dei suoi “esuberi” (ci sarebbe tanto da dire anche sulla comunicazione…) ed è rimasta impantanata nel mercato estivo, riuscendo ad assicurarsi i soli De Ligt e Demiral, oltre ai parametri zero Ramsey e Rabiot (su entrambi aleggiano fortissimi dubbi…), la conferma di Higuain rientrato dal prestito al Chelsea, il ritorno di Buffon e gli scambi Danilo-Cancelo (con il Manchester City) e Spinazzola-L.Pellegrini (con la Roma), con il ragazzo mandato poi in prestito a Cagliari lasciando il solo Alex Sandro sulla corsia di sinistra per tutta la stagione.

Il tutto rischiando anche di cedere Dybala all’Inter o al Manchester United. L’avventura di Sarri è poi partita mettendo subito ai margini un giocatore come Mario Mandzukic, che nelle ultime stagioni è risultato decisivo sia in termini realizzativi che dal punto di vista del temperamento (Allegri lo convinse anche a fare l’ala con esiti eccellenti), oltre ad Emre Can.

Nedved e Paratici sapevano benissimo che tipo di allenatore è Sarri e quali uomini sarebbero serviti per dare concretezza alla sua idea di calcio. “So cosa serve a questa squadra”, aveva detto Allegri prima di essere accompagnato alla porta. Il buon Max aveva probabilmente capito che alcuni elementi della rosa bianconera non potevano più garantire un certo tipo di rendimento, e che sarebbe stato necessario procedere verso il rinnovamento. Ma evidentemente la società Juventus pensava che sarebbe bastato cambiare il manico per avere magicamente spettacolo, possesso palla, dominio, occasioni e gol a pioggia, anche con evidenti carenze (non solo a centrocampo).

Una convinzione forse dettata anche da quel fastidioso mormorio, nettamente percepibile in alcune trasmissioni sportive, che ha accompagnato l’ultimo Allegri all’ombra della Mole, talvolta messo alla berlina per un calcio certamente non spumeggiante: un mormorio che ha portato a far credere all’opinione pubblica che un allenatore capace di vincere 5 scudetti, 4 coppe Italia, 2 supercoppe e di disputare due finali di Champions League sia, in fin dei conti, un “sopravvalutato”, un “asino”, uno “baciato dalla fortuna” e altre amenità.

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Il ciclo di Allegri alla Juventus era finito? Può darsi, ma nessuno ha avuto il coraggio di dire che in questo momento storico esistono al mondo ben pochi coach migliori di Acciughina. E sul fatto che Sarri sia tra questi sono rimasti in pochi a metterci la mano sul fuoco. Forse, dopo venerdì sera, ancora meno.