Perde il compagno a causa del Coronavirus e scrive una lettera: “Può colpire chiunque”

lettera di una vedova per i giovaniUna donna ha deciso di scrivere una missiva dopo aver perso il compagno a causa del Coronavirus e dopo aver notato un calo delle misure di precauzione, in particolare da parte dei giovani

L’amore della sua vita è deceduto in breve tempo a causa del Coronavirus e, nel vedere un progressivo allenamento delle misure di precauzione per evitare il contagio, una signora di Milano ha deciso di scrivere una lettera che ha voluto indirizzare ai più giovani per invitarli ad essere prudenti e prendere coscienza del fatto che l’epidemia in Italia è tutt’altro che finita (i numeri di oggi lo provano) e che tutti possono potenzialmente ammalarsi di Covid-19 e contagiare, a loro insaputa qualora fossero asintomatici, altre persone con il rischio di farle finire in terapia intensiva o, peggio, provocarne indirettamente la morte. Il compagno di Alessandra Lamberti Bocconi, Felice Garrone, avrebbe compiuto 62 anni tra poche settimane: ma nel mese di marzo ha accusato i primi sintomi riconducibili al contagio da Coronavirus come febbre e problemi respiratori sempre meno gestibili a casa. È stato portato in ospedale il 22 marzo, rimanendo per due giorni ricoverato con il casco C-Pap per la ventilazione assistita. Le sue condizioni sono però ulteriormente peggiorate e per questo è stato trasferito nel reparto di terapia intensiva.

Il compagno è morto in un mese a causa della Covid-19

La signora ha spiegato di essere stata contattata il 17 aprile: “Mi hanno chiamato per dire che stava meglio e l’indomano lo avrebbero stubato”. Ma il 19 aprile le è arrivata la comunicazione straziante: “Era morto”. Alessandra non è potuta uscire di casa per 20 giorni, in isolamento, e ha ricevuto la spesa grazie ai ragazzi di Emergency. Ha continuato a rimanere isolata per un altro mese e mezzo presso la casa della figlia. Non le è mai stato fatto il tampone. Ad oggi la decisione di scrivere una lettera rivolta a chi assume atteggiamenti sempre più irresponsabili, come ha spiegato la donna a Fanpage.it.

La lettera

Sono una vedova del Covid-19.

In marzo il virus è entrato in casa mia e in una manciata di giorni si è portato via il mio compagno. Ora vorrei parlare a tutti quei ragazzi che giustamente hanno voglia di riprendere la vita normale e spensierata di pochi mesi fa, interrotta di colpo da questa nuova brutale realtà, che non conoscevamo ma con la quale oggi dobbiamo fare i conti e convivere.

I mezzi di comunicazione purtroppo ci informano che l’attenzione si è alleggerita, e nello stesso tempo che l’età media del contagio è scesa: sembrava che il virus colpisse solo gli anziani, invece oggi quasi la metà dei nuovi contagiati ha meno di 24 anni. Le regole per proteggere se stessi e gli altri sono piccole ma vitali, e le sappiamo tutti. Perciò quando vedo le immagini di gruppi di ragazzi che vanno in giro fregandosene del distanziamento e delle mascherine, mi chiedo: ma davvero per voi è più importante fare l’aperitivo in piazza e assembrarvi con gli amici?

Ammalarsi di coronavirus è una tragedia non solo per chi si infetta, ma soprattutto per le famiglie e per chi vi vuole bene. Immaginate l’angoscia di chi sta a casa ad aspettare ogni giorno la chiamata dei medici che li aggiornano sulle vostre condizioni di salute, visto che nessuno può venire a trovarvi e siete SOLI, separati dai vostri più cari affetti e probabilmente (anzi sicuramente) SPAVENTATI, tra medici e infermieri che sembrano usciti da un film di fantascienza, e che rischiano la loro vita per salvarvi, se tutto va bene; e se tutto va male invece vi ritrovate in terapia intensiva con un tubo in gola. Non potete avere idea dello stato di una madre, di un fratello che vi aspettano, con quelle poche notizie che un giorno sono in salita e il giorno dopo possono precipitare in un abisso di dolore.

Riuscite a rendervi conto che con un comportamento idiota mettete a rischio voi stessi (e fin qui potrebbero essere solo fatti vostri), ma anche persone sconosciute che magari hanno una famiglia, una moglie, dei figli, dei genitori che sono a casa ad aspettare e che poi sono costretti a chiamare un’ambulanza e vedersi portare via la persona amata, verso un crudele percorso fatto di dolore e solitudine.

Vorreste davvero per una passeggiata in piazza o una serata in discoteca accalcati senza mascherina, far passare tutto questo ai vostri parenti? Io non so il mio compagno dove possa aver preso il Covid. Era un uomo sano e attento, che non beveva e non fumava, e non andava più in palestra perché le avevano già chiuse. Poi un giorno gli è venuta la febbre che non passava mai e piano piano faceva sempre più fatica a respirare. Ambulanza. Ospedale. Rianimazione. Io in quarantena per quindici interminabili giorni, con l’ansia della telefonata quotidiana e nient’altro. Un giorno la speranza e un altro l’angoscia. Poi la catastrofe: “Ci spiace, signora, non ce l’ha fatta. È deceduto stanotte”.

Questa è una tragedia che può accadere a chiunque, persone sconosciute o familiari: e purtroppo dipende anche dal comportamento incosciente e menefreghista di troppi. Ecco, io spero che tra quei troppi non ci siate anche voi. Divertitevi pure, ma non regalate la vostra vita e quella degli altri a quel farabutto di virus. Cavolo, ragazzi, in fondo vi si chiede solo di mettere una mascherina e non una camicia di forza. Dal cuore.

Alessandra Lamberti-Bocconi