“Addo se Va” e “Tu” sono i due singoli disponibili su tutte le piattaforme digitali che anticipano il prossimo lavoro discografico (quarto album) dei Foja. La band partenopea ha recentemente festeggiato il suo decimo anno di attività artistica e di successi internazionali. Un percorso artistico da “creatori” di emozioni, battiti e condivisione, la musica come filosofia di vita all’insegna dell’unione. Le radici partenopee che si tramutano in volti, storie e anime viscerali. E la loro intensa passione per la loro terra, cantata sempre senza filtri, in maniera autentica e carnale.
D: Addo se và e Tu , rappresentano un messaggio ed un invito a resistere, ad andare avanti nonostante tutto quello che circonda tende a separarci e stare lontani. La musica nasce per unire, vi sentite dei messaggeri di speranza, in questo specifico momento storico?
R: La nostra visione del mondo è sempre stata caratterizzata dall’idea di speranza, basti pensare al titolo del nostro secondo album “Dimane torna o sole” o ad una canzone come “Da sule nun se vence maje”. In questo momento storico a noi interessa porre delle domande e suscitare in chi ci ascolta un dibattito interiore rispetto alla direzione che sta prendendo la vita. Non ci aspettiamo di essere dei messaggeri, piuttosto di far passare il concetto che le scelte quotidiane condizionano la nostra esistenza, il nostro piccolo orticello, ma anche e soprattutto il mondo che ci circonda. “How would you live your life? Comme ‘a vuò ‘a vita toia?” è la frase che chiude “Addò se va” e che funge da ponte all’idea di vita che abbiamo, fatta di incontro, condivisione, emozione. Insomma, tutto quello che è contenuto in “Tu”. Le due facce della stessa medaglia con le quali abbiamo imparato a convivere nell’ultimo anno. La musica è unione, perfetta metafora della vita o per meglio dire, della nostra idea di vita.
D: Vivere e lavorare in una città come Napoli, ricca di spunti e ispirazioni e vita, vi ha aiutato anche nelle elaborazione dei vostri ultimi progetti, nonostante il periodo di divisione sociale e pandemia?
R: Le nostre canzoni prendono sempre spunto dalla realtà, da tutto quello che osserviamo camminando per strada. Il suolo che percorriamo ogni giorno orgogliosamente è quello di Napoli ed inevitabilmente, le storie di questa città, i suoi mille risvolti, la sua forza, permeano la nostra produzione artistica. Anche in questo ultimo progetto e in quest’ultimo anno l’umanità che caratterizza la nostra città ha condizionato le nostre scelte, i nostri testi, i colori delle canzoni. Senza Napoli non avremmo potuto scrivere “Nunn’è ancora fernuta”, singolo uscito ad Aprile 2020 in sostegno degli ultimi, senza distinzione di etnia, orientamento, estrazione. Possiamo dire che il distanziamento sociale ci ha dato una mano nella sperimentazione: essendo lontani abbiamo cominciato a miscelare il nostro modo di scrivere a sonorità più elettroniche, non potendo materialmente vederci in sala prove per arrangiare le canzoni. Abbiamo cercato di prendere il meglio per quanto possibile da questa situazione. Speriamo di esserci riusciti.
D: La lavorazione del vostro prossimo album continuerà sul concetto emozionale di tutto ciò che stiamo vivendo o sarò un disco con altre idee e contaminazioni?
R: Il prossimo album si muoverà su un doppio binario che sarà il filo conduttore di tutto il disco. Non possiamo ancora svelarvi nulla in merito, ma oltre alle già citate contaminazioni elettroniche, possiamo confermarvi che come sempre il fulcro sarà bilanciato tra una parte “emozionale” e l’altra “sociale”. Ci saranno delle novità da un punto di vista produttivo, questo sicuramente. La nostra idea di fondo è stata quella di unire al “concetto di canzone” a noi tanto caro e che in passato prendeva i suoi riferimenti dal blues americano, dal country, dal rock, il concetto di “contaminazione”, prendendo a modello tutte quelle realtà artistiche che non si chiudono in schemi preconfezionati e ritriti, ma cercano di andare sempre oltre se stessi con l’obiettivo di dare il giusto vestito ad ogni canzone. Per ogni traccia ad esempio, abbiamo fatto diversi tentativi di arrangiamento, cercando di non fermarci mai alla prima idea, ma tentando di arrivare al “gusto” che avevamo in testa, lavorando per passaggi successivi, riascolti, talvolta anche cassature totali di quello che avevamo prodotto.
D: Come tutti gli artisti, musicisti e addetti ai lavori avete pagato le conseguenze di questo doloroso periodo lontano dai live e dal pubblico. Quanto è difficile per un artista vivere lontano dal palco dal punto di visto umano e delle emozioni?
R: Per una band è impossibile stare lontano dai concerti perché l’essenza stessa del fare musica è insita nel rapporto con il proprio pubblico. L’adrenalina che ti dà un palco non potrà mai essere sostituita da nessun esperimento in streaming, resosi necessario nell’ultimo anno. Sia chiaro, anche noi abbiamo preso parte ad eventi simili e ringraziamo chi li ha organizzati, ma il concerto è un’esperienza che cela dietro di sé tutti i rituali di cui una band “di palco” come la nostra si nutre: l’appuntamento, il tragitto, il soundcheck, l’attesa, gli incontri, la condivisione, il pubblico. Il palco rappresenta un mondo fatto di tante professionalità, di addetti ai lavori, di tecnici, backliner, manager, che hanno scelto di fare questo lavoro con tutte le difficoltà del caso, in tempi normali, ancor di più in pandemia. Li ringraziamo e li stringiamo tutti, come sempre facciamo alla fine di ogni concerto. Per ora virtualmente, ma speriamo quanto prima di poterlo fare di persona.
D: Nelle vostre date all’estero avete registrato sold out in numerose tappe. Che visione ha il pubblico straniero della vostra musica e che percezione e sentore si ha nell’esportare le vostre idee e le vostre emozioni oltre i confini?
R: La musica è un linguaggio universale. Sembra banale a dirsi, ma è la banalità che a volte spiega il significato delle cose. Abbiamo sempre pensato che il dialetto fosse il modo più diretto di raccontare, senza filtri, come diceva il grande Massimo Troisi: “io penso in napoletano, sogno in napoletano, mi riesce proprio facilissimo”. All’estero abbiamo potuto constatare quanto è vero che l’empatia che genera la musica sia una codifica ed un amplificatore di battiti da condividere con chi hai di fronte. Sarebbe ipocrita non dire che una buona fetta di pubblico nelle date europee fosse napoletano. Ma le vibrazioni che abbiamo sentito dai loro cuori e dai cuori dei loro amici “autoctoni” erano le stesse. Inutile e superfluo ribadire quanto la musica napoletana sia apprezzata e stimata in tutto il mondo, ma sentiamo di dire che l’esperienza di proporre un repertorio inedito, quale è il nostro, ci ha riempito d’orgoglio e il feedback di vibrazioni positive e forse nemmeno tanto aspettate, ci ha confermato l’esatto motivo per il quale facciamo questo lavoro: emozionarci ed emozionare.
Sergio Cimmino
Credits Photo : Sabrina Cirillo